Stiamo assistendo a una lezione sull'attesa e sulla bellezza delle tradizioni.
In questi giorni il conclave, oltre ad essere il luogo dove i cardinali eleggono il successore di Pietro, è anche paradigma di bellezza, ode alla lentezza e prezioso promemoria di una storia lunga secoli, che ci impone di guardare indietro, in controtendenza rispetto al frettoloso "hic et nunc" che caratterizza il nostro tempo.
Nell'epoca del "presto che ho fretta", del tutto e subito, delle connessioni senza sosta, delle risposte a portata di un clic, la Chiesa ci sta ricordando il gusto dell'attesa.
Il ritardo nella fumata di ieri sera, rispetto a tempi evidentemente sottodimensionati, così come gli occhi fissi in queste ore sul tetto della Sistina, ci hanno catapultato in una dimensione per noi inusuale: il dover attendere il fumo da un comignolo, come unico strumento di comunicazione tra il conclave e il mondo.
Niente exit poll, niente telecamere a cogliere lo svolgimento di un momento tanto suggestivo, niente social a raccontare i retroscena ma una grande e impenetrabile bolla che avvolge e isola gli spazi del conclave.
Silenzio totale e attesa. Due condizioni alle quali non siamo più abituati e che la Chiesa, nella sua storia senza tempo, riporta nelle nostre vite, attraverso una bellezza che sa emozionare.
Una condizione che, una volta terminati questi giorni, merita una riflessione per capire che il vero fascino non sta nel tutto e subito ma nella pazienza e nella fiducia di una attesa.
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