Una
decisione propria non di una personalità debole e remissiva, bensì di un uomo capace
di esaminare lucidamente la propria coscienza e riconoscere che, per il bene
della Chiesa, era opportuno fare un passo indietro e lasciare spazio a chi
aveva forze ed energie maggiori.
Sta
in questo la grandezza di una scelta in netta controtendenza con l'attuale
società, con la dilagante occupazione delle "poltrone" e delle
posizioni di rilievo. Lo spessore e la novità sta nel sapere dire di no, nel
riconoscere i propri limiti, nella lucida disamina di quanto possiamo dare nei
nostri rispettivi ruoli, considerando come prioritario lo spirito di servizio
verso gli altri e non il tornaconto personale.
In
una parola, il coraggio di saper rinunciare.
Una
vicenda che ci ha insegnato come le azioni non siano da leggere nell'esclusivo
significato semantico delle parole, bensì vadano contestualizzate alla luce di
tanti altri aspetti.
La
rinuncia al ministero petrino non va quindi interpretata nell'ottica di una
privazione di qualcosa: quella di papa Benedetto non è stata la scelta di "lasciare"
ma di svolgere il proprio compito nella Chiesa in modo differente rispetto al
passato e più appropriato alle sue condizioni fisiche, dettate in primis dalle
problematiche legate all'età.
Papa
Benedetto non ha abbandonato il pontificato girando le spalle alla Chiesa come
comunità di fedeli ma ha modulato la sua chiamata, con grande senso di
responsabilità e di amore, dedicandosi esclusivamente alla preghiera e dando
così modo al collegio cardinalizio di eleggere il suo successore, con le
caratteristiche necessarie a tenere testa alle difficoltà dell'oggi, ai
"rapidi mutamenti" e a "questioni di grande rilevanza".
Quello
che è stato letto come gesto di debolezza rappresenta invece una palese
dimostrazione di forza, di coraggio e di umiltà, dote quest'ultima alla quale
siamo così poco avvezzi da non riuscire ad apprezzarla, confinandola senza
tante esitazioni tra gli attributi della debolezza.
La
necessità di dover sempre dire qualcosa, di riempire spazi di giornali e
palinsesti televisivi, ha portato in questo anno a scrivere e dire di tutto.

Non
si tratta qui di elencare gli aspetti positivi del pontificato di papa
Benedetto, ogni attento e onesto osservatore delle cose vaticane saprà dare il
proprio giudizio, basato sui fatti e non sull'eco mediatica.
A
un anno di distanza da quel gesto storico, più che avanzare bilanci sul
pontificato di papa Ratzinger e sulla legittimità di quella sua scelta, si
rende sicuramente più urgente un giudizio sulla nostra capacità e volontà di
andare oltre le apparenze, le voci più gridate, le grette operazioni
mediatiche. Si impone la necessità di dimostrarci, innanzitutto a noi stessi,
cittadini responsabili e fedeli capaci di testimoniare almeno qualche virtù
evangelica.

La
scelta di Benedetto, dunque, è stata ed è una lezione - impartita con la sua
consueta umiltà - di rigore e di spirito di servizio, lontana dalla debolezza
ma, al contrario, dettata da quel coraggio, da quella coerenza e saggezza ai
quali dovremmo imparare a guardare, una volta tanto non per giudicare ma per arricchire
i nostri pensieri.
Articolo pubblicato da La Perfetta Letizia
Articolo pubblicato da La Perfetta Letizia
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