domenica 6 marzo 2016

Tommaso da Celano "cronista" cosa può insegnare all'attuale mondo dell'informazione?

Tra le numerose informazioni emerse dal recente convegno internazionale “Tommaso da Celano, agiografo di san Francesco”, svoltosi al Seraphicum di Roma, risalta certamente il marcato “spirito di servizio” che ha animato il frate abruzzese nella sua attività di narratore della vita di Francesco di Assisi.

Un religioso, leggendo le opere agiografiche dei grandi testimoni della fede, si appassionerà alla loro sequela Christi e, probabilmente, si porrà delle domande sia sull’aderenza del proprio itinerario di vita sia sul generale contesto storico. Un giornalista può compiere qui un simile processo di identificazione, per rispecchiare se stesso e la propria professione nel celanese e nelle sue modalità di narrazione, rinvenendo a distanza di 800 anni uno stile attento alle fonti e al rispetto della verità.

Dunque Tommaso da Celano meriterebbe anche una lettura di carattere giornalistico o, meglio, l’ambito giornalistico trarrebbe certamente giovamento da una conoscenza del suo stile e del suo profondo senso di servizio alla verità. Una suggestione offerta da alcuni passaggi dei suoi scritti e da uno stile che, mutatis mutandis, avrebbe tanto da offrire all’attuale contesto dell’informazione.

Tommaso scrittore, biografo, agiografo e quindi Tommaso narratore degli eventi. Ma cosa ha da insegnare a un “collega” del XXI secolo, quali sono gli aspetti del suo stile che possono risultare di grande attualità e utili a una riflessione?

I primi spunti derivano indubbiamente dal prologo alla Vita Prima, dove Tommaso spiega di aver cercato di raccontare la vita di Francesco, “con ordine e devozione, scegliendo sempre come maestra e guida la verità”. Un metodo quindi improntato al rigore e al rispetto dei fatti. Non solo: “ma poiché nessuno può ritenere a memoria tutte le opere e gli insegnamenti di lui, mi sono limitato a trascrivere con fedeltà almeno quelle cose che io stesso ho raccolto dalla sua viva voce o appreso dal racconto di testimoni provati e sinceri…”.

Ne emerge uno degli aspetti più importanti della professione: la scelta delle fonti e la verifica della loro attendibilità. Tommaso non attinge a informazioni dubbie ma, oltre ad aver vissuto in prima persona quanto scrive, ricorre a testimoni “provati e sinceri”, quindi a fonti verificate e affidabili.

Anche lo stile sembra avere un importante peso nella considerazione che il celanese ha del suo ruolo, ai fini della migliore resa possibile di quanto commissionatogli, tanto da auspicare per sé quella forma che va all’essenza e senza orpelli, propria del padre Francesco: “potessi davvero essere degno discepolo di colui che evitò costantemente il linguaggio difficile e gli ornamenti della retorica!”.

Una cronaca che sia accessibile a tutti, asciutta e diretta, “con stile semplice e dimesso - scrive nel prologo alla Vita Seconda -, desiderosi di andare incontro a chi è meno agile di mente e anche, se possibile, di piacere ai dotti”. Dunque la scelta di rifuggire dalle formule imbellettate, privilegiando esclusivamente il rispetto della verità sostanziale dei fatti, diremmo oggi in ossequio a uno dei presupposti del buon giornalismo.

Se è vero, come è vero, che la testimonianza è un elemento imprescindibile per esprimere compiutamente quello che si vuole trasmettere, il profilo biografico di fra Tommaso ci restituisce indubbiamente un missionario della verità, senza orpelli e con tanta attenzione a comunicare l’essenza del messaggio.

Ci sono tre elementi, rimarcati durante il convegno dal professor Jacques Dalarun, che caratterizzano la condotta di Tommaso e che, se ci pensiamo bene, delineano appieno il profilo ideale del buon comunicatore: la marcata umiltà, la semplicità di espressione e la fedeltà, a Francesco nella fattispecie e al suo messaggio.

In un’epoca caratterizzata dalla incessante proliferazione delle carte deontologiche, come estremo tentativo di riportare la professione sui binari di un’etica spesso dispersa, il modus vivendi, e quindi operandi, di Tommaso rappresenta indubbiamente un presupposto sul quale riflettere attentamente.

È indubbio che al suo profilo “pratico” di narratore si aggiunge quello di un modello deontologico cui guardare con attenzione, leggendo quella triade di umiltà, semplicità e fedeltà come una bussola che dovrebbe guidare quotidianamente gli operatori del mondo dell’informazione.
L’umiltà di leggere i fatti senza preconcetti e di porsi in ascolto con la curiosità e la sete di conoscere (piuttosto che di pontificare), la semplicità dello stile che non è povertà di contenuti ma una strada spianata per consentire a tutti di accedere agevolmente al senso delle notizie e, infine, la fedeltà al messaggio, senza operare volontari travisamenti e manipolazioni.

Con l’onestà di fermarsi laddove i fatti devono tacere, per l’incapacità di darne spiegazione o, semplicemente, per una forma di rispetto verso i protagonisti. Un limite cui non siamo più avvezzi nell’attuale sistema informativo, caratterizzato o da colpevoli reticenze o dal continuo vociare di una informazione che non conosce soste e limiti di sorta.

È per tutto questo che un giornalista, a disagio con le attuali tendenze, non può che provare uno sconfinato apprezzamento per la frase con cui Tommaso chiude il racconto dell’incontro di donna Jacopa con Francesco morente: “Sollevo la penna, perché non voglio balbettare ciò che non saprei spiegare”.
Anche per questo Tommaso, l’agiografo di Francesco, dimostra di essere un ammirevole cronista da cui prendere esempio, oggi, per non finire da cronisti a modesti agiografi dei potenti di turno.

Dal 1923 i giornalisti hanno come patrono san Francesco di Sales. Visti i tempi difficili per il settore, alla ricerca di una credibilità perduta, potrebbe essere affiancata la figura di frate Tommaso da Celano, per offrire ulteriore ispirazione e protezione, alla stampa in generale e a quella francescana in particolare.




Articolo pubblicato da San Bonaventura informa
n. 37 - febbraio 2016

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