Non
conosciamo ancora la data ma di certo sarà una giornata di grande festa quella
per la canonizzazione di Giovanni Paolo II, uno dei papi più amati della storia
che verrà dichiarato santo da un successore di Pietro che sta richiamando folle
mai viste.
Papa
Wojtyla e papa Bergoglio, già ce li immaginiamo: il grande drappo appeso alla
loggia centrale della basilica che ritrarrà il nuovo santo e le parole, sicuramente
cariche di emozione, del papa argentino mentre leggerà la formula di rito
dinanzi a una Roma straripante dei fedeli e delle telecamere di tutto il mondo.
Un evento planetario, di fede e mediatico, attorno alla Chiesa e ai suoi grandi
testimoni di oggi.
Ma
quel giorno mancherà qualcuno: sarà assente il papa “intermedio”, quello che ha
raccolto la difficile eredità, anche mediatica, di Giovanni Paolo II e che ha
aperto la successione a questo papa con più forze fisiche e spirituali, più
giovane, maggiormente carico di energie per tenere con mano ferma il timone
della barca di Pietro e per compiere quelle scelte necessarie, anche a livello
di curia, per riportare serenità e trasparenza in ambiti che talvolta non si
sono mostrati così evangelici.
Benedetto
XVI sarà, anche quel giorno, invisibile agli occhi del mondo nell’ex monastero "Mater
Ecclesiae", a poche centinaia di metri da quella piazza, ritirato in
preghiera come ha annunciato negli ultimi suoi istanti pubblici, un
"pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa
terra".
Eppure
quel giorno, che con crescenti probabilità potrebbe essere il 20 ottobre come
data significativa posta tra l’elezione, la messa di inaugurazione del
pontificato e la festa liturgica del beato Giovanni Paolo II, la sua assenza
sarà stridente.
Mancherà
vistosamente quel passaggio tra i due pontificati di Wojtyla e Bergoglio, come
se ci trovassimo a camminare dovendo fare a meno di un indispensabile punto di
appoggio. Questo ha rappresentato il pontificato di Benedetto XVI, con quella
successione così coraggiosa dopo un gigante che aveva guidato la Chiesa per
lunghi anni, amato in ogni angolo della terra, decisamente carismatico e per
questo anche fortemente mediatico.
Eppure
il teologo bavarese, in quell’aprile del 2005, non si era spaventato di tutto
ciò o forse sì ma aveva assunto il carico del pontificato con profondo spirito
di servizio, come un “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”, consolato
dalla certezza che “il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti
insufficienti”. Mentre nei sette anni e dieci mesi come successore di Pietro
papa Ratzinger ha dimostrato di essere eccome all’altezza del difficile compito,
raccogliendo con forza e determinazione le nuove sfide che si presentavano alla
sua persona e alla Chiesa, con quella determinazione che lo faceva marciare a
passo incessante verso la soluzione dei tanti problemi che bussavano
prepotentemente alle porte vaticane. Un pontificato di duro lavoro, condotto
con passo misurato ma senza tentennamenti, sino alla rinuncia, anch’esso come
estremo gesto di coraggio e di amore verso la Chiesa e il popolo di Dio.
Per
tutti questi motivi, l’arrivo sul soglio di Pietro di papa Francesco dovrebbe
far ricordare, ogni istante, quanto sia stata generosa e provvidenziale la
scelta di Benedetto XVI, evidentemente maturata in un contesto di grande fede e
di profondo discernimento spirituale.
Giovanni
Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, i papi degli ultimi 35 anni, i pontefici
dei grandi cambiamenti, delle nuove sfide sociali con la Chiesa coraggiosamente
pronta a coglierle e a farne nuovi avamposti di evangelizzazione. Tre
pontificati tra loro strettamente connessi, con tre personalità molto differenti,
calate in contesti diversi e, per chi è credente, provvidenzialmente scelti dallo
Spirito Santo per accompagnare la Chiesa in questo frangente di storia.
Il
papa della caduta dei vecchi regimi e dell’evangelizzazione condotta in prima
persona, in ogni angolo della terra; il papa del riordino delle carte e delle
questioni spinose rimaste sulla scia del precedente pontificato o esplose con
vari scandali, dalla pedofilia a Vatileaks; infine il papa che avvicina ancor
più la Chiesa all’uomo, che strattona giù dai piedistalli certi uomini di
curia, che incarna il Vangelo nel concetto di povertà (che non significa
pauperismo, come ha sottolineato), di misericordia e di attenzione all’uomo e
al creato. Un programma di pontificato e di vita racchiuso in quel nome che
rievoca, in maniera così intensa ma anche impegnativa, il santo di Assisi.
E
così, in quel giorno di festa che tutti auspichiamo prossimo, sarebbe bello che
Benedetto XVI si lasciasse convincere a uscire dalla sua stretta clausura. Non
oscurerebbe niente e nessuno, la sua umiltà e riservatezza, il suo profondo spirito
di servizio alla Chiesa, la riverenza e obbedienza al nuovo papa (professate
sin da prima dell’elezione del successore) sono fuor di dubbio. La sua presenza
in quella piazza sarebbe un motivo di festa in più, una condivisione piena, una
consequenzialità al percorso che lo Spirito Santo ha disegnato per questa
Chiesa dalle mille risorse e dalle mille sorprese. (eli)
Pubblicato da La Perfetta Letizia
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