giovedì 6 dicembre 2012

Ladri di speranza

Una scena sempre più frequente nelle nostre città

Il tema del giorno è la ridiscesa in campo (tanto per usare il suo termine) di Silvio Berlusconi in vista delle prossime elezioni. Notizia che ha innescato l'altra questione della giornata, ovvero il commento negativo su questa scelta del ministro Corrado Passera e la conseguente decisione dei senatori del Pdl di non votare il decreto sviluppo.  


Ripicche e strategie politiche in vista delle prossime elezioni verso le quali, nonostante il tentativo di Matteo Renzi di imporsi alle primarie del Pd e il sogno di partecipare a quelle del Pdl di Giorgia Meloni, l'Italia sembra calcare ancora una volta i passi del déjà vu. Forse più che marciare verso il futuro sembra tornare sui vecchi sentieri, facendo temere un impantanamento nelle sabbie mobili della crisi.
Questo nei Palazzi dorati del potere mentre nelle strade, nelle case e nei supermercati si contano i danni reali di questa situazione e della mancanza di fiducia verso una classe politica che sembra guardare solo a se stessa.
Non è demagogia né qualunquismo ma la semplice impressione che tra quelli scranni si pensi poco ai problemi reali del Paese. E probabilmente non se ne abbia neppure conoscenza né consapevolezza. Troppo lontani da loro o meglio loro troppo lontani dalle strade, dalle fabbriche, dalle scuole dove si suda sudore e fatica.
Un amico amava ripetere, come regola aurea del buon governo, che chi amministra deve sapere quanto costa un chilo di pane. Potrebbe essere un buon test di ammissione.
Come si possono prendere in considerazione provvedimenti per il Paese, al di là delle specifiche competenze tecniche, se non se ne riconoscono le reali ricadute economiche sulle tasche delle famiglie?
Qui non si tratta solo e più di macroeconomia, di spread e di tutte queste diavolerie finanziarie, il problema è dentro ogni famiglia e, soprattutto, è nella mancanza di speranza. Il reato più grave che un politico possa commettere ai danni dei propri cittadini.
Chi sta a capo di un sistema politico dovrebbe trasmettere fiducia e sicurezza. A meno che non si tratti di un regime dittatoriale - Dio ce ne scampi e liberi! - il cittadino dovrebbe percepire un senso di protezione, di amministrazione nell'interesse del Paese, come si trattasse di una famiglia allargata. Un sistema culturale che, di conseguenza, dovrebbe garantire anche il senso di appartenenza, la coesione sociale e solidaristica tra i suoi membri.
E invece la percezione è quella di un pater familias scellerato, che nei decenni ha sperperato progressivamente i beni senza che i parenti osassero alzare la voce (in fin dei conti la domenica si mangiava e beveva a iosa a quel tavolo), con i figli lasciati privi dei diritti essenziali e per di più incattiviti l'un contro l'altro, senza una guida pratica e morale.
Eppure basterebbe poco per prendere coscienza della situazione.
Sarebbe sufficiente fare quello che facciamo tutti noi: andare sui mezzi di trasporto, entrare negli uffici pubblici sempre più armati di burocrazia contro il cittadino, ascoltare qualche operaio, qualche insegnante, qualche giovane laureato intento a fare le valigie per affacciarsi a un futuro che possa tingersi di speranza.
Ma c'è anche qualche modo più immediato per rendersi conto della situazione, senza impegnarsi in dialoghi ma solo osservando. Perché non si frequentano i mercati all'ora della dismissione dei banchi? Si trovano sempre più persone a racimolare tra gli scarti qualcosa per sopravvivere, per arrivare a domani.
Basterebbe entrare nei supermercati dove da un po' i carrelli sono sempre più vuoti.
Vadano a vedere i politici cosa significa passare tra quegli scaffali e vedere gente che butta in quei carrelli il minimo indispensabile per vivere.
Vadano a chiedere alla pensionata che era con me ieri in un supermercato deserto cosa ha portato a casa. Dopo una vita di sacrifici quella signora vicina all'ottantina si aggirava piano tra quegli scaffali stracarichi di prodotti e marche. Guardava e passava oltre. Si soffermava solo tra i generi di primissima necessità. Non sceglieva in base ai prodotti, agli ingredienti, alle scadenze ma al prezzo.
Mi sono trovata a guardare per capire, per compiere un percorso di consapevolezza tra quegli scaffali, per condividere le sensazioni di quelle privazioni, per esserne pienamente consapevole.
Ma io non sono un politico. Ho solo scambiato qualche frase fatta sul costo della vita, spendendo qualche parola di incoraggiamento, spiegando che tutti siamo sulla stessa barca.
Lo facciano anche i politici, percorrano quei corridoi con chi deve tirare la cinghia e ne escano con lo stesso groppo alla gola con cui ne sono uscita io.  


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