Una scena sempre più frequente nelle nostre città |
Il
tema del giorno è la ridiscesa in campo (tanto per usare il suo termine) di
Silvio Berlusconi in vista delle prossime elezioni. Notizia che ha innescato
l'altra questione della giornata, ovvero il commento negativo su questa scelta del
ministro Corrado Passera e la conseguente decisione dei senatori del Pdl di non
votare il decreto sviluppo.
Ripicche
e strategie politiche in vista delle prossime elezioni verso le quali,
nonostante il tentativo di Matteo Renzi di imporsi alle primarie del Pd e il
sogno di partecipare a quelle del Pdl di Giorgia Meloni, l'Italia sembra calcare
ancora una volta i passi del déjà vu. Forse più che marciare verso il futuro
sembra tornare sui vecchi sentieri, facendo temere un impantanamento nelle
sabbie mobili della crisi.
Questo
nei Palazzi dorati del potere mentre nelle strade, nelle case e nei
supermercati si contano i danni reali di questa situazione e della mancanza di
fiducia verso una classe politica che sembra guardare solo a se stessa.
Non
è demagogia né qualunquismo ma la semplice impressione che tra quelli scranni
si pensi poco ai problemi reali del Paese. E probabilmente non se ne abbia
neppure conoscenza né consapevolezza. Troppo lontani da loro o meglio loro troppo
lontani dalle strade, dalle fabbriche, dalle scuole dove si suda sudore e
fatica.
Un
amico amava ripetere, come regola aurea del buon governo, che chi amministra
deve sapere quanto costa un chilo di pane. Potrebbe essere un buon test di
ammissione.
Come
si possono prendere in considerazione provvedimenti per il Paese, al di là
delle specifiche competenze tecniche, se non se ne riconoscono le reali ricadute
economiche sulle tasche delle famiglie?
Qui
non si tratta solo e più di macroeconomia, di spread e di tutte queste
diavolerie finanziarie, il problema è dentro ogni famiglia e, soprattutto, è nella
mancanza di speranza. Il reato più grave che un politico possa commettere ai
danni dei propri cittadini.
Chi
sta a capo di un sistema politico dovrebbe trasmettere fiducia e sicurezza. A
meno che non si tratti di un regime dittatoriale - Dio ce ne scampi e liberi! -
il cittadino dovrebbe percepire un senso di protezione, di amministrazione
nell'interesse del Paese, come si trattasse di una famiglia allargata. Un
sistema culturale che, di conseguenza, dovrebbe garantire anche il senso di
appartenenza, la coesione sociale e solidaristica tra i suoi membri.
E
invece la percezione è quella di un pater familias scellerato, che nei decenni
ha sperperato progressivamente i beni senza che i parenti osassero alzare la
voce (in fin dei conti la domenica si mangiava e beveva a iosa a quel tavolo),
con i figli lasciati privi dei diritti essenziali e per di più incattiviti l'un
contro l'altro, senza una guida pratica e morale.
Eppure
basterebbe poco per prendere coscienza della situazione.
Sarebbe
sufficiente fare quello che facciamo tutti noi: andare sui mezzi di trasporto,
entrare negli uffici pubblici sempre più armati di burocrazia contro il
cittadino, ascoltare qualche operaio, qualche insegnante, qualche giovane
laureato intento a fare le valigie per affacciarsi a un futuro che possa
tingersi di speranza.
Ma
c'è anche qualche modo più immediato per rendersi conto della situazione, senza
impegnarsi in dialoghi ma solo osservando. Perché non si frequentano i mercati
all'ora della dismissione dei banchi? Si trovano sempre più persone a racimolare
tra gli scarti qualcosa per sopravvivere, per arrivare a domani.
Basterebbe
entrare nei supermercati dove da un po' i carrelli sono sempre più vuoti.
Vadano
a vedere i politici cosa significa passare tra quegli scaffali e vedere gente
che butta in quei carrelli il minimo indispensabile per vivere.
Vadano
a chiedere alla pensionata che era con me ieri in un supermercato deserto cosa
ha portato a casa. Dopo una vita di sacrifici quella signora vicina
all'ottantina si aggirava piano tra quegli scaffali stracarichi di prodotti e
marche. Guardava e passava oltre. Si soffermava solo tra i generi di primissima
necessità. Non sceglieva in base ai prodotti, agli ingredienti, alle scadenze
ma al prezzo.
Mi
sono trovata a guardare per capire, per compiere un percorso di consapevolezza
tra quegli scaffali, per condividere le sensazioni di quelle privazioni, per
esserne pienamente consapevole.
Ma
io non sono un politico. Ho solo scambiato qualche frase fatta sul costo della
vita, spendendo qualche parola di incoraggiamento, spiegando che tutti siamo
sulla stessa barca.
Lo
facciano anche i politici, percorrano quei corridoi con chi deve tirare la
cinghia e ne escano con lo stesso groppo alla gola con cui ne sono uscita io.
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