Il bambolotto appartenuto a uno dei bambini di S.Anna |
C'è
un tipo di giustizia che ha un valore ben superiore rispetto a una pena
detentiva o ad un lauto risarcimento economico: è la giustizia che spetta alla
memoria e alla storia.
Un
tipo di giustizia che non invoca pene esemplari, che non si nutre di vendette
bensì di rispetto, di amore e di senso civico dovuto alle vittime e alle
giovani generazioni che dovranno costruire un futuro migliore di quello che toccò
ai tanti "bambini" di Sant'Anna.
Con
l'archiviazione disposta dalla Procura di Stoccarda, sembra non trovare pace la
memoria delle 560 vittime trucidate il 12 agosto del 1944 a Sant'Anna di
Stazzema, in provincia di Lucca, da soldati tedeschi che raggiunsero il piccolo
borgo sulle colline della Versilia senza tanti indugi, accompagnati da un
manipolo di fascisti collaborazionisti.
Uno
dei più gravi fatti accaduti durante l'occupazione in quanto a finire sotto la
lucida follia dei nazisti furono 560 vittime: bambini, donne e anziani.
Quelle
categorie deboli che, se si ha un minimo senso di pietà e decoro, non c'è
conflitto che ne giustifichi il coinvolgimento. Gli uomini del paese con quelli
che venivano dalle zone limitrofe, e che a Sant'Anna si erano rifugiati con le
famiglie in quanto considerata area sicura, si erano allontanati all'arrivo
delle truppe, certi che in quel modo avrebbero salvato non solo le loro vite ma
soprattutto quelle di mogli, figli e anziani genitori.
Le
cose andarono diversamente, come ha appurato il tribunale militare di La Spezia
che nel 2005 ha condannato all'ergastolo ex ufficiali e sottufficiali tedeschi
ritenuti responsabili. Nel 2007 la Cassazione confermò la sentenza che, in
considerazione dell'età ormai avanzata dei colpevoli ancora viventi, aveva un
valore esclusivamente storico e morale.
E
non era cosa da poco, un obiettivo raggiunto dopo decenni di silenzi gonfiati
da ragioni di stato e politiche che avevano creato una sorta di bolla della
menzogna e dell'ipocrisia attorno a questa strage e ad altri gravi avvenimenti
del periodo.
Nel
1994 la svolta con il rinvenimento, in uno scantinato di Palazzo Cesi a Roma
sede della Procura militare, di un armadio chiuso e con le ante rivolte verso
la parete. Una situazione che non poteva più reggersi e così la bolla scoppiò,
facendo uscire da quell'"armadio della vergogna" - come fu
efficacemente definito dal giornalista Franco Giustolisi dell'Espresso - una
mole di documenti e informative utili a fare luce su tanti fatti di sangue e a
risalire ai responsabili.
Nel
processo vennero ricostruiti gli avvenimenti, i rastrellamenti, le fucilazioni,
gli atti terribili compiuti su quella gente inerme, sui bambini, sino al grande
falò sulla piazzetta della chiesa dove furono accatastate gran parte delle
vittime, bruciate utilizzando le panche della chiesa.
Le
lapidi poste nella chiesetta e all'ossario situato poco più in alto,
raggiungibile attraverso una via crucis che ripercorre stazione dopo stazione
un sacrificio immane, testimoniano l'inquietante resoconto anagrafico di quella
strage dove, al di là dei nascituri che trovarono la morte nei pancioni delle
madri, la vittima più piccola, Anna Pardini, aveva appena venti giorni.
La
Versilia ha sempre portato in sé questa ferita, alleviata da quella tardiva sentenza
che dava comunque un nome e un volto agli aguzzini che avevano cancellato così
tante vite e stravolto per sempre quelle dei superstiti. Un esercizio di forza
e di pazienza che negli anni ha messo a dura prova i nervi di sopravvissuti e
familiari che hanno sempre dimostrato una grande maturità civica e la capacità
di rielaborare quello strazio in positivo, gettando alle ortiche l'odio a
favore della coltivazione della memoria, come omaggio alle vittime e a
vantaggio delle nuove generazioni.
Ecco
che Sant'Anna di Stazzema ha creato negli anni un museo, un centro di
accoglienza e di alta formazione alla pace ed ha visto l'istituzione del Parco
nazionale della Pace, un vero e proprio laboratorio di dialogo per i giovani provenienti
spesso da Paesi in guerra.
Una
fucina di tolleranza e di pace che opera tra le prove tangibili di un odio
incomprensibile e che ha richiamato nel tempo anche tante personalità tedesche,
salite a Sant'Anna per rendere il loro personale tributo o quello delle
istituzioni rappresentate. Ultimo, in ordine di tempo, il presidente del
Parlamento europeo Martin Schulz, presente a Sant'Anna lo scorso 12 agosto, in
occasione delle cerimonie per il 66° anniversario dell'eccidio.
In
questa crescente cooperazione italo-tedesca a favore della pacifica convivenza
tra popoli, che ha condotto nel tempo a una vera e propria comunanza di
sentimenti, è piombata come un fulmine a ciel sereno la decisione della Procura
di Stoccarda di procedere con l'archiviazione "per insufficienza di
prove". Secondo la Procura tedesca, chiamata a dare esecuzione alle
sentenze italiane, non esisterebbero adeguate prove documentali a dimostrazione
di una responsabilità individuale per i diciassette ex appartenenti alla
sedicesima corazzata "Reichfuehrer S.S." ancora in vita. Le
motivazioni fanno riferimento all'impossibilità, contraddetta peraltro dalle
interviste rilasciate da alcuni di quei soldati tedeschi, di stabilire il
numero esatto delle vittime, di provare che la strage sia stata un atto di
rappresaglia programmato contro i civili, piuttosto che avviata ai danni dei
partigiani presenti nella zona e finalizzata a catturare uomini da deportare in
Germania. Inoltre il fatto di essere appartenuti a quelle unità militari non
può, a detta dei giudici tedeschi, essere direttamente correlata con una
responsabilità nella strage.
Il
risentimento alla notizia non si è fatto attendere e sta crescendo il fermento
per avviare le adeguate azioni diplomatiche, politiche e di protesta. I primi a
disapprovare la decisione sono stati rappresentanti della sezione italo-tedesca
del Partito democratico che, assieme a studenti dell'Università di Berlino, si
sono recati dopo la sentenza a Sant'Anna per protestare contro la decisione
dei propri connazionali e per esprimere solidarietà. A seguito della decisione
giunta da Stoccarda, il segretario generale del nostro Ministero degli esteri,
Michele Valensise in stretto raccordo con il ministro Giulio Terzi, ha ricevuto
alla Farnesina il ministro degli esteri tedesco Michael Georg Link, manifestando
rispetto per l'indipendenza della magistratura tedesca ma sottolineando come
"tale decisione è per gli italiani, non solo per i sopravvissuti e i
familiari delle vittime, motivo di profondo sconcerto e rinnovata
sofferenza".
Forme
di pressione politica e di formale protesta sono ancora al vaglio, in
una triangolazione tra le associazioni dei superstiti e delle vittime ed i
rappresentanti di Governo, Parlamento ed enti locali.
A
tirare le fila, contemperando risolutezza e delusione è il sindaco di Stazzema
Michele Silicani che si è rivolto innanzitutto al ministro di Grazia e
Giustizia Paola Severino. Il sindaco è pronto a tutto, a un'incisiva azione
politica ma anche a portare lo sdegno dell'Italia a Stoccarda, sulla spinta
dell'amarezza di chi è cresciuto leggendo negli occhi dei superstiti un dolore
troppo grande e facendo di quella ferita un impegno di testimonianza. Senza pretendere
vendetta né risarcimenti ma semplicemente la giustizia dovuta alla sua gente e
all'intero Paese.
Che
la vicenda abbia una rilevanza nazionale lo dimostra anche l'immediata reazione
del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, appena appresa la
notizia, ha espresso profondo rammarico per "le sconcertanti motivazioni
con le quali è stata disposta, in Germania, l'archiviazione di procedimenti
giudiziari contro soggetti accusati di partecipazione diretta a efferate stragi
naziste".
Nessuno
vuole permettere che la memoria di questa strage, simbolo di tante altre
perpetrate dai nazifascisti, si perda tra ragioni di stato e nell'imbarazzo
della Germania di dover riconoscere una verità assai scomoda. Nessuno vuole che
il sorriso beffardo del generale Albert Kesselring, comandante supremo delle
forze armate tedesche in Italia, spenga ancora una volta il sorriso dei
"bambini" di Sant'Anna di Stazzema.
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