L’assassinio di Giulia Cecchettin (nella foto) pone tanti interrogativi su cosa si sia inceppato in questa società e nell’emotività dei giovani.
La tragica conta dei femminicidi non conosce fine. Donne che sono cadute sotto la violenza di chi sosteneva di amarle. Donne che hanno subito in silenzio o che si sono ribellate, magari chiedendo aiuto ma senza riuscire ad ottenere la necessaria protezione.Un fenomeno che interessa ogni regione, ogni classe sociale e ogni età. La violenza da parte di fidanzati, compagni, mariti, può scattare per tante ragioni. Tra le principali motivazioni una gelosia esasperata e l’incapacità ad accettare una separazione. Fenomeni che, solitamente, sono preceduti da comportamenti da non sottovalutare. A questo proposito, il sito FemminicidioItalia.info propone un “violentometro”, una scala di atteggiamenti che devono essere dei veri e propri campanelli di allarme per comprendere quando una relazione è tossica, allontanandosene al più presto.
L’omicidio di Giulia – se verrà confermata la responsabilità dell’ex fidanzato Filippo Turetta, come pare evidente dal video della violenza – mette a nudo la vigliaccheria di un giovane uomo, di appena 22 anni, che non si rassegna a un amore finito e che decide di tarpare le ali della libertà all’ex compagna. Dalle cronache sappiamo che Giulia, dopo la laurea che doveva conseguire proprio in questi giorni, avrebbe probabilmente cambiato città, giro di amici, vita.
Quello che colpisce è come un ragazzo di quell’età non sia capace di guardare oltre una separazione, di incassare la sconfitta e farne esperienza, spunto di riflessione per conoscere meglio se stesso e apprendere come tenere a bada le proprie emozioni. Come non sia capace di rimettere la propria vita sui binari di single, da cui partire per nuove esperienze sentimentali. Non si può mai giudicare una storia dall’esterno ma una cosa è certa: Filippo Turetta non amava Giulia. L’amore, quello vero, non porta a picchiare e uccidere la “luce dei propri occhi”, non consente di divenire un mostro e di scaricarne il corpo in un canalone, come si getta via una carta straccia.
L’amore è ben altro, è innanzitutto la capacità di riconoscere la libertà del partner e, quindi, di accettare anche la fine di una relazione se questo è quanto desiderato. Situazioni dolorosissime, senza dubbio, ma che fanno parte della vita. Quando tutto ciò avviene lealmente, in un maturo rapporto di dialogo, la lealtà rappresenta la strada primaria per elaborare questa forma di lutto.
Ma allora, viene, da chiedersi, che concezione di amore hanno questi giovani? Istruzione universitaria, sport, una famiglia alle spalle. Cosa è mancato a questo ragazzo, in quel percorso che conduce a maturare consapevolezza su sé, sugli altri e su quel complicato ma straordinario sentimento che si chiama amore?
Da dove ripartire per far comprendere ai giovanissimi quanto, talvolta, anche i genitori faticano a vivere? Come scardinare la concezione dell’amore come possesso, tanto da svilire la figura di una ragazza della sua individualità, dei suoi diritti a scegliere e ad essere felice?
Come far vivere ai giovani i rapporti in una simbiosi che mantenga le rispettive identità, personalità e libertà di decidere per la propria vita?
In che modo spiegare ai giovani che il rapporto con la partner non è competizione, non è una gabbia e neppure una presenza da sfoggiare come un trofeo dinanzi agli altri, magari per acquisire quella sicurezza che non si ha? Sino a uccidere la partner quando sembra spiccare il volo, desiderosa di raggiungere le sue mete.
C’è da augurarsi che questo dramma non si esaurisca con lo spegnimento dei riflettori ma divenga finalmente un terreno di riflessione e programmazione per avviare serie iniziative di educazione in generale e sentimentale in particolare. E non è detto che queste lezioni siano utili solo ai più giovani. Il mondo dei social, delle storie patinate, la predominanza dell’avere rispetto all’essere sono la dimostrazione di un imperante analfabetismo sentimentale che non può che generare catastrofi. Investendo come uno tsunami proprio quello che è il meccanismo più delicato ma anche straordinario di una persona: la capacità di amare, di farsi amare e di amarsi nel profondo.
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