domenica 12 febbraio 2023

SOLO SPETTATORI DI GUERRE E DISTRUZIONI?

Tra conflitti e calamità naturali si rischia che la morte agisca indisturbata su più scenari del mondo.

Siamo quasi a un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina (iniziata il 24 febbraio con l'invasione delle truppe russe), che sta provocando migliaia e migliaia di morti con una distruzione su vasta scala, senza che si riesca a vederne la fine, anzi con bagliori che possono far temere un allargamento del conflitto con una escalation nucleare.

Su un altro fronte, per rimanere a questi giorni, assistiamo al dramma del devastante terremoto in Turchia e Siria che fa contare al momento oltre 33 mila morti, un bilancio pesantissimo che secondo l’ONU sarebbe sottostimato, prevedendo e temendo il doppio delle vittime. 

Dunque da una parte le smanie criminali dell’uomo, dall’altra il destino accompagnato, da quanto si apprende dalle prime indagini, anche da responsabilità di costruttori che hanno speculato sull’edilizia, incuranti degli standard di sicurezza. In ogni modo l’entità della scossa principale, stimata in magnitudo 7.8, ci ha ricordato la forza incontrastabile di una natura talvolta matrigna, rammentandoci come siamo quotidianamente esposti a seri rischi. 

Questi i dati oggettivi ma quali sono le reazioni di chi, non coinvolto direttamente in questi drammi, assiste come semplice osservatore? La parabola dell’attenzione e dell’emotività si impenna dinanzi alle prime notizie di cronaca nera (una delle più appetibili per il pubblico, come ci insegna la teoria del giornalismo), catalizzando le attenzioni e suscitando uno tsunami emotivo che inonda immediatamente i social network. 

Ma poi? Poi quella parabola cade in picchiata perché ci si “distrae” su altre tematiche, abituandosi anche alla morte, a quella causata da un anno di guerra come a quella provocata da un accidente naturale. La nostra attenzione ha una capacità di espansione sempre più limitata, tanto che una volta “fatto il pieno” lasciamo scivolare via ogni altro contributo, divenendo noi stessi impermeabili agli stimoli emotivi, abituandoci persino alle immagini più strazianti. 

Pensando alla correlazione tra informazione e attenzione, viene alla mente una celebre frase di Herbert Simon, economista, psicologo e premio Nobel secondo il quale “l’informazione consuma attenzione. Quindi l’abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione e induce il bisogno di allocare quell’attenzione efficientemente tra le molte fonti di informazione che la possono consumare. In un contesto nel quale l’informazione è sovrabbondante, si assiste a una crescente scarsità di attenzione”. Se pensiamo che questa asserzione risale al 1971, comprendiamo come molto altro ci sia da dire oggi, finendo per confermare la bontà di quell’assunto. L’aumento esponenziale dei mezzi di informazione e, ancor più delle piattaforme social, ha portato a un incremento senza precedenti delle notizie in circolazione (peraltro sfuggendo alle verifiche, ormai anche da parte di tanti giornalisti), così che la disattenzione è schizzata ai massimi livelli.

Alla velocizzazione dei tempi di produzione va di pari passo la ricerca e la disponibilità di notizie sempre più brevi, tanto da dare poco più di una indicazione e, come tali, assolutamente insufficienti per conoscere e approfondire, presupposti indispensabili per poter valutare, sviluppare senso critico e, solo in ultima battuta, giudicare e prendere una posizione.

Ecco che, nell’attuale contesto sociale e comunicativo, tutto scivola via facilmente, trascinando anche le emozioni, l’empatia, la ricerca del bene e della pace che richiede pazienza, mediazione, dialogo, disponibilità, tempo, coraggio e umiltà. Pace ed emozioni, dunque, sono già sconfitti o destinati a soccombere dinanzi a guerre e calamità?

Per quanto concerne la guerra in corso, i segnali non sono incoraggianti e molto dipende da chi gioca le partite sullo scacchiere mondiale; a questo proposito papa Francesco prega e invita a pregare ripetutamente per la pace in Ucraina, perché “il Signore apra vie di pace e dia ai responsabili il coraggio di percorrerle”. Lo scenario è poco incoraggiante se pensiamo all’atteggiamento dell’aggressore Vladimir Putin, che non recede di neppure un passo sulla folle strada imboccata. Ma preoccupa anche la progressiva sparizione della ricerca della pace dal contesto internazionale. Così come dalle parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che, nel messaggio all’Italia di cui si è data lettura nella serata finale di Sanremo, non ha citato neppure una volta il termine pace. Vittoria ma non pace, segno che si vede solo il conflitto come strada percorribile.

Forse dimenticando che la guerra conduce sempre alla morte, soprattutto di persone innocenti e inermi, per questo è necessario un cambio di rotta che deve partire innanzitutto dal basso, dall’indignazione e dalla rivendicazione di un futuro di pace. Se solo riuscissimo a mettere la testa fuori dalle stanze virtuali per capire come pace ed empatia sono gli strumenti che possono tenere testa alla morte, concedendole solo lo spazio che le spetta secondo le regole della “natura”, non lasciandole neppure un centimetro in più sul terreno della vita. 

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