L'amore per la verità non ci può far nascondere questi difetti che, nel tempo, ci hanno fatto perdere credibilità: assecondare interessi specifici (che siano economici, politici, genericamente di parte), accomodarsi su dei privilegi piuttosto che rincorrere la verità, appiattire un mestiere che esige di non dare mai niente per scontato, insegnando che la verità non è un muro liscio ma uno straordinario poliedro dalle mille sfaccettature, con tanti risvolti, ognuno con un briciolo di luce e verità.
Una grande sfida per quanti credono di avere la verità in tasca. Perché uno dei difetti è spesso la sfrontata sicurezza che mette a tacere l'umiltà e la consapevolezza che c'è sempre qualcosa da imparare. Eppure proprio questo mi ha affascinata del giornalismo: iniziare ogni giornata come fosse una nuova avventura, conoscere gente e storie nuove, spogliarsi di ogni pre-giudizio per leggere le vicende con occhi "puliti".
Questa professione insomma, se si riesce a prenderla per il verso giusto, ti fa tornare ogni giorno bambino. Basta metterci passione, curiosità e un solo obiettivo: raccontare quello che si vede. Credo che se sappiamo fare bene questo, siano assolutamente inutili (e spesso dannosi) gli orpelli delle troppe interpretazioni e congetture.
Spesso, invece, assistiamo alla metamorfosi da giornalisti a predicatori, a veggenti, a criticoni e via dicendo, togliendo a chi ci segue il gusto di una cronaca ben documentata ma "asciutta" e che dia loro la possibilità di farsi un'idea delle vicende.
Amo troppo questa professione per non soffrire dei suoi mali e per non chiedermi, ogni sera, se abbia o meno dato il massimo, se sia credibile in quello che faccio, in cosa possa migliorare e so che i margini sono ampi.
Ieri è uscito il Messaggio di papa Francesco per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Mi ha fatto un immenso piacere trovare scolpiti alcuni capisaldi della professione negli anni finiti in secondo piano: consumare le suole delle scarpe, fare attente verifiche, raccontare anche quanto è ritenuto scomodo, rifuggire da una "agenda" appiattita e comune a tutte le testate, mettere in campo curiosità e passione.
Personalmente ho difficoltà ad accettare le vie di mezzo: come in ogni cosa ci si deve donare totalmente e se si sentono i sacrifici del mestiere è bene ripiegare su altro, per non correre il rischio di infarcirlo di compromessi, di patteggiare con i suoi tempi ed esigenze. Il giornalismo lo vedo un po' come una missione, come altre strade della vita.
Forse sarebbe bene che quanti stanno per compiere una scelta professionale partissero da qui, comprendendo la responsabilità che richiede e la personale disponibilità. Forse la formazione dovrebbe lavorare di più sugli aspetti motivazionali ed etici. Il fascino di questo mestiere può risultare un pericoloso specchietto. Mentre il giornalismo - ben prima di una firma, di una voce o di un volto in tv - è consapevolezza di una grande responsabilità, è credibilità, è rigore. Il giornalismo è una grande scuola di vita.
Credo che, per tutto ciò, non si fa il giornalista ma lo si è, e lo si è quando si incarnano le sue regole e i suoi principi.
Auguri a tutti i colleghi, in particolare a quelli in cui riconosco questa impronta e che rappresentano un modello e una testimonianza di cui andare fieri.
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