venerdì 29 gennaio 2021

ANDARE E GUARDARE CON I PROPRI OCCHI

Andare e guardare con i propri occhi, distogliendoli dagli schermi dei dispositivi digitali per osservare direttamente la realtà, per farsi presenza, per incontrare le persone e le loro storie. 
Il Messaggio di papa Francesco per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali è un esplicito invito a essere comunicatori consapevoli di quanto ci accade attorno.

Il Messaggio di papa Francesco - «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono - per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebrerà il prossimo 16 maggio (diffuso nella solennità di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti) è un esplicito invito a essere comunicatori consapevoli di quanto ci accade attorno, recuperando quei presupposti basilari che ci sono stati insegnati all’inizio della professione giornalistica.

Chi non si è sentito ripetere che, per approcciarsi con serietà a questo affascinante mestiere, bisogna consumare le suole delle scarpe per andare a “vedere” le notizie e verificarle di persona. Dinamiche semplici, anche ovvie, ma sempre più soppiantate da un metodo di lavoro che ha “pantofolizzato” i giornalisti i quali, grazie e per colpa delle immense potenzialità della rete, propendono sempre più per “girare il mondo” davanti a un computer, nell’illusione che quel mondo possa raggiungerli sui propri schermi.

Ma si tratta solo di uno dei tanti inganni del web, niente può rimpiazzare l’esperienza diretta vissuta sul campo, nessuna telecamera può sostituirsi allo sguardo che impone la realtà nella quale ci troviamo immersi, agli stimoli sensoriali e, soprattutto, al contatto diretto con le persone, alla partecipazione a un “contesto”.

Sarebbe però ingiusto attribuire la responsabilità di questo cambio di passo solo alla pigrizia degli operatori dell’informazione: i consistenti tagli ai fondi all’editoria hanno penalizzato molte testate, imponendo una razionalizzazione dei costi e una differente organizzazione del lavoro con l’impiego sul campo di un numero sempre minore di giornalisti, fotografi, cameramen, a favore di una informazione che, passando attraverso i service, giunge giocoforza appiattita e omologata.

Questi fattori hanno concorso a creare il fenomeno che papa Francesco chiama dei “giornali fotocopia” (ma, ovviamente, questo vale per ogni tipologia di mezzo informativo), con la progressiva erosione di quei generi aurei della professione, come reportage e inchieste, «a vantaggio di una informazione preconfezionata, “di palazzo”, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone».

Strettamente connesso a ciò, forse per l’illusione di avere accesso a ogni dato, è il fenomeno della “comoda presunzione del già saputo” che sta peraltro producendo sempre più “commentatori” a discapito di cronisti di razza. Quei giornalisti che, nonostante la crisi editoriale, le scorciatoie professionali che sovvertono gavette e contratti, svolgono il proprio lavoro andando dove pochi vanno, per vedere con i propri occhi e raccontare storie che stanno ai margini di quel flusso comunicativo che corre compatto su tutte le testate.

Una gratitudine che il Papa esprime per quanti hanno il coraggio e la determinazione di raccontare storie di periferia, di chi non ha voce, vittime di guerre, soprusi, ingiustizie, pareggiando i conti di quella “doppia contabilità” che fa vedere le situazioni con “gli occhi del mondo più ricco”, un rischio in agguato pure nell’emergenza pandemica che lascia ai margini - anche del racconto - i Paesi più poveri.

Viene da pensare alle parole di Tiziano Terzani in Un indovino mi disse, laddove scrive che «la storia esiste solo se qualcuno la racconta. È una triste constatazione, ma è così ed è forse proprio questa idea - l’idea che con ogni piccola descrizione di una cosa vista si può lasciare un seme nel terreno della memoria - a legarmi alla mia professione».

È indubbio che viviamo in un tempo difficile, con una rapida moltiplicazione di notizie e di strumenti ai quali non dobbiamo neppure più accedere, essendone ormai raggiunti con una altissima frequenza (e invadenza). Insidie e opportunità del web che papa Francesco evidenzia nel documento, come efficacemente già fatto in precedenti messaggi, mettendo dinanzi sia alle potenzialità come la

“capacità di racconto e di condivisione”, sia ai rischi come l’assenza di verifiche su quanto leggiamo e condividiamo. Per questo Francesco invita alla massima attenzione che richiede «maggiore capacità di discernimento e un più maturo senso di responsabilità, sia quando si diffondono sia quando si ricevono contenuti».

Si comprende facilmente la portata di questa raccomandazione se pensiamo come con i social venga meno la “rete di protezione” dei media tradizionali, dove i professionisti dell’informazione sono tenuti e formati a una preventiva verifica delle notizie. I social, invece, abbattono il muro che distingue il comunicatore ufficiale da quello ufficioso, dando a tutti questa opportunità straordinaria ma carica di insidie, dove il discrimine sta proprio nell’atteggiamento del singolo. «Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo - scrive papa Francesco -, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole».

Un messaggio, dunque, che penetra nelle dinamiche virtuali invitando all’assunzione di responsabilità e, al contempo, spronando a privilegiare i rapporti interpersonali diretti, quelli che si alimentano di parole, di sguardi e di gesti condivisi negli stessi spazi reali. Non si tratta di un nostalgico approccio alle relazioni, bensì dei passi compiuti nei secoli dal cristianesimo, attraverso una ininterrotta catena di incontri “da persona a persona, da cuore a cuore”. Papa Francesco cita il “comunicatore” Paolo di Tarso, ipotizzando che «si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social, ma furono la sua fede, la sua speranza e la sua carità a impressionare i contemporanei che lo sentirono predicare ed ebbero la fortuna di passare del tempo con lui». Attraverso i canali della testimonianza diretta, nel corso dei secoli, si è tramandato il messaggio cristiano, mediante «uomini e donne che hanno accettato lo stesso invito: “Vieni e vedi”, e sono rimaste colpite da un di più di umanità che traspariva nello sguardo, nella parola e nei gesti di persone che testimoniavano Gesù Cristo».


Dal mensile San Bonaventura informa n. 96 (anno IX - gennaio 2021) 





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