«Ogni mattina, dopo
aver recitato l’Angelus o il Regina Coeli, canto il Cantico delle Creature. Tutte le mattine, da dodici anni, proprio
qui dove è risuonato tante volte, come Francesco voleva nel corso della sua
permanenza nel vescovado».
Monsignor Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi,
Nocera Umbra e Gualdo Tadino, racconta il suo stretto legame con san Francesco
e con il mondo francescano al quale non appartiene canonicamente ma di fatto.
Non solo per essere il vescovo della “capitale del francescanesimo” ma per una sintonia profonda che lo lega al carisma francescano.
Nasce da questa attenzione e sensibilità il progetto che un anno fa ha portato all’erezione del Santuario della Spogliazione, dove Francesco segnò la netta cesura tra il prima e il dopo della sua vita, tra la strada del giovane e benestante assisano e il cammino evangelico, sui passi di Cristo, al servizio dei fratelli più bisognosi. Nel mese di maggio la Chiesa di Assisi festeggerà il primo anniversario dell’erezione di questo Santuario che ingloba due luoghi fortemente significativi della città: la chiesa di Santa Maria Maggiore e l’attiguo vescovado. Uno spazio rilevante dal punto di vista della testimonianza storica ma, ancor più, come luogo che interpella l’uomo di oggi.
Monsignor Sorrentino,
un anno fa - il 20 maggio - l’inaugurazione del Santuario della Spogliazione
che richiama a uno dei gesti più conosciuti di Francesco, raccontato nelle Fonti e al centro della spiritualità
francescana. Dopo otto secoli da quell’evento, che significato assume oggi la
spogliazione?
Mi pare che proprio oggi assuma un particolare rilievo e
forse è provvidenziale che solo dopo 800 anni un gesto pur così noto e
spettacolare sia stato pienamente valorizzato anche a livello santuariale.
Siamo in un tempo in cui prevale l’avere, l’accumulo, il possesso talvolta
veramente sfacciato di pochi a discapito di una moltitudine di persone che sono
invece spogliate di tutto, persino della propria dignità a causa
dell’indifferenza, della violenza, dell’arroganza del potere e dell’economia. Questo
concetto, dunque, oggi ha un risalto e un senso che sono veramente
straordinari, andando più in profondità rispetto a una dimensione sociologica,
investendone anche una puramente etica. Non a caso ho voluto intitolarlo
“Santuario della spogliazione” e non della spogliazione di Francesco anche se è
quell’evento che dà origine, vita e senso al santuario.
Quindi un luogo che
rinvia a un senso più ampio, che richiama anche alla nostra identità di
cristiani…
Sì, a ben vedere la spogliazione è un concetto che sta al
cuore del cristianesimo, è ciò che contraddistingue la nostra fede quando ci
mettiamo di fronte a un Dio, come ce lo ha rivelato Gesù, che è un Dio
trinitario il quale esce fuori da sé spogliandosi, nel suo Figlio, della sua
gloria. Sono le parole di Paolo nel celebre Inno della Lettera ai Filippesi: si spogliò di tutto per essere come noi sino
alla morte e alla morte di croce. Dunque ci troviamo di fronte a qualcosa che
ha a che fare con la nostra identità profonda che va riscoperta pienamente in tempi
di crisi del cristianesimo, recuperabile solo con un ritorno al Vangelo, come
ha fatto Francesco di Assisi. Si spogliò innanzitutto perché si era innamorato
di Cristo che aveva imparato a contemplare sul crocifisso, ad accoglierlo nel
servizio ai poveri e quando si spoglia fa un gesto che è il segno esteriore
della radicalità della sua conformazione a Cristo. Dunque è un santuario che
oggi serve a restituire, in maniera forte attraverso questo gesto profetico di
Francesco, ciò che costituisce il centro stesso dell’annuncio cristiano. Con
tutte le conseguenze che ne derivano sui piani etico, economico, pedagogico: ci
sono davvero tanti filoni che partono da questo evento e che si possono
approfondire.
Un luogo, dunque, non
cristallizzato nella storia ma fortemente radicato nel presente, nelle sfide
dell’attualità. Del resto è anche quello che ha da subito rimarcato papa
Francesco, particolarmente sensibile alla figura del Poverello e alle povertà
di oggi.
L’inaugurazione è avvenuta l’anno scorso ma il punto di
partenza è stato senz’altro la visita di papa Francesco nel 2013. Il papa ci ha
spiegato, in poche battute ma molto intense, quanto questo santuario esprime e
ce ne ha dato dimostrazione molto chiara sia nei discorsi tenuti qui, sia nella
lettera inviata in occasione dell’inaugurazione. Papa Francesco ha sottolineato
proprio questo raccordo fondamentale con la nostra fede e poi alcune
conseguenze operative sul versante sociale-economico. Non a caso volle qui ad
ascoltarlo i poveri, per sottolineare che essi devono stare sempre al centro
della nostra attenzione ma anche per dire che tutti ci dobbiamo spogliare di
qualcosa. La spogliazione è un percorso, ognuno di noi ha bisogno di lasciare
qualcosa che non è essenziale e qualche volta è addirittura un peso per
diventare leggeri e rivestirsi di Dio, di Vangelo.
Dunque c’è un percorso antropologico e spirituale che ha una
sua rilevanza anche economica: Francesco, con questo gesto apparentemente anti
economico, generò in realtà il concetto di una nuova economia, quella del dono,
della gratuità, della generosità. Tutto il grande filone francescano, oggi
riscoperto, dell’economia di comunione, non di semplice profitto, proviene
proprio da questo gesto. Un percorso che ha a che fare anche con l’ambiente:
Francesco si denuda e torna a essere l’uomo dell’Eden, in pace con se stesso,
con gli altri, con il cosmo. Il momento della spogliazione è il preludio del Cantico: Francesco impara a sentire
frate Sole, sorella Luna, fratello Vento, fratello Fuoco, perché spogliandosi
di tutto diventa capace di cogliere in ogni cosa la presenza di Dio, l’armonia
universale e la fraternità. Spogliandosi di tutto, riceve tutto.
In questa società,
definita efficacemente “liquida” dal sociologo Bauman, non pensa sia ancora più
difficile imitare questa radicalità dimostrata da Francesco, che richiede di
aggrapparsi in maniera decisa a principi e valori fermi?
Da un lato può essere più difficile ma, dall’altro, la nuova
situazione sociale può rappresentare anche una grande opportunità per quanti
sono sempre più confusi dal punto di vista valoriale e disgregati dal punto di
vista relazionale. In altre parole, si pone a ciascuno un problema di benessere
nel senso più profondo del termine che invoca un principio, un senso e dunque
una dimensione trascendente, invocando al contempo una nuova relazione con gli
altri. La spogliazione, ovvero questa capacità di non centrare la propria
esistenza sulla propria individualità, liberandosi quindi in qualche modo di
sé, dell’egoismo, della propria auto centralità, è una premessa fondamentale
per poter gettare un ponte verso gli altri. Quindi credo che non a caso questo
Santuario arrivi proprio oggi, nella società liquida, in quanto rappresenta una
invocazione che va ascoltata per trasformare questo tipo di società in una
grande opportunità di cambiamento.
Rimanendo sul piano
sociale, al di là della spogliazione come scelta volontaria, spesso si è
spogliati da tanti diritti: il diritto a un lavoro, a una casa, a una famiglia,
a vivere in pace. Chissà quali orizzonti di speranza indicherebbe oggi il
vescovo Guido…
Guido è stato un profeta, con Francesco: Francesco lo è
stato a suo modo come uomo di Dio che iniziava in questa maniera spettacolare
la sua nuova vita; Guido lo è stato perché ha saputo accoglierlo e benedirlo,
facendo una scelta che è stata una profezia accanto alla profezia. Non
dimentichiamo che ha dovuto prendere una posizione ben chiara dinanzi alla
famiglia di Bernardone e di tanti suoi concittadini: Assisi negli anni della
conversione non era stata per nulla tenera con Francesco.
Così questo vescovo ha dovuto scegliere tra il potere del
denaro, dell’orgoglio, dell’arroganza sociale, dei sogni di gloria e quello che
Francesco gli mostrava, ovvero una vita ispirata alla semplicità, al servizio
dei poveri, alla conformazione a Cristo crocifisso. Ha scelto con chiarezza da
che parte stare e io sento molto la profezia di Guido: vivendo in questo luogo,
mi misuro con lui. Non solo Francesco, ma anche Guido mi interroga.
Come successore del
vescovo Guido, in che modo si immagina in quel contesto?
Probabilmente non sarei stato tanto coraggioso, forse sarei
stato tentato di farmi un po’ di conti prima di prendere una decisione così
impegnativa. Per questo ammiro molto l’atteggiamento del vescovo Guido che, in
pochi istanti, ha dovuto prendere una decisione così radicale e impopolare.
Guido ha dovuto fare per sé una scelta che era scarnificante, facile bersaglio
di tante critiche ma non si è tirato indietro. Ecco, oggi il Santuario della
spogliazione invoca una Chiesa capace di scegliere con coraggio, mettendosi
dalla parte di coloro non hanno la possibilità di scegliere perché altri hanno
scelto per loro nel modo peggiore. Questo Santuario è un “pugno nello stomaco” rispetto
a una Chiesa che si adagia sulla mediocrità, che magari si fa bella anche di
Francesco ma senza imitarlo. Per me è provvidenziale che il Signore abbia
ispirato la riscoperta di questo gesto, di questa profezia, consentendo alle
persone di meditare sulla propria vita e di fare delle scelte.
Nel momento della
spogliazione di Francesco, possiamo immaginare un popolo incuriosito, magari
persino divertito dal gesto così dirompente di questo “strano” giovane di
Assisi. Sembra un tratto costante l’incapacità di comprendere, o addirittura il
deridere, chi compie scelte tanto radicali. Cosa sfugge all’uomo comune?
È vero, c’è un problema di opinione pubblica che è sempre
tentata di leggerezza, come c’è un problema del potere - anche dell’autorità
ecclesiale - che è sempre tentato di fare troppi conti. La profezia di
Francesco è dirompente, di quelle che levano il sonno se hai un minimo di
sensibilità. Sta di fatto che oggi anche il popolo assisano ha capito la
centralità del Santuario che non è testimone solo di quel gesto ma anche di
altri momenti molto significativi e che stanno in relazione con quell’evento.
Pensiamo al momento in cui Francesco ha aggiunto, proprio in rapporto a questo
luogo, una strofa al suo Cantico,
quella sulla riconciliazione, nel tentativo, riuscito, di riportare la pace
nella città che si era divisa attorno ai due suoi poli, quello religioso e
quello civile. Quel popolo che, in un primo momento avrà sghignazzato, è lo
stesso popolo che poi riconoscerà come si possano ricostruire le relazioni e
raggiungere la pace.
Altro fatto particolarmente importante, è il soggiorno qui
di Francesco, prima di andare a morire alla Porziuncola: vi trascorse molti
giorni, nel momento in cui era allo stremo delle forze. Frate Elia lo aveva
portato qua per assicurargli un ambiente protetto. Quello che, stando alle Fonti, impressionava la gente, era che
da questo vescovado si sentiva cantare giorno e notte. Francesco voleva che i
suoi frati, che lo assistevano qui nella casa del vescovo, cantassero il Cantico di frate Sole, di giorno e di
notte. Questo scandalizzava molti perché, nella mentalità generale, andare
incontro alla morte significava compiere un percorso quantomeno triste. Frate
Elia disse a Francesco che la gente era perplessa per questo atteggiamento e si
chiedeva se si stesse davvero preparando a morire. Francesco rispose di sì e
che proprio per questo cantava. Ciò per dire che la spogliazione è diventata
veramente la grande cifra interiore di Francesco, un uomo che anche nel dolore,
davanti alla morte, ha imparato a cantare e la sua stessa vita è diventata
canto. Se ci pensiamo, la nudità del giorno della spogliazione fa pendant con quella della Porziuncola:
una vita di conversione che è come inclusa tra due nudità perché, in fondo, si
tratta della vita di un uomo che si è denudato di sé per essere pieno di Dio,
mostrando come quando si diventa pieni di Dio, tutto rinasce. Il Santuario è
dunque un luogo di sintesi dove il messaggio francescano può ritrovare, oltre
alle sue radici, anche una sua visione globale e dove, soprattutto, si può
risalire al centro del messaggio cristiano.
Nella lettera con la
quale annunciava l’erezione del Santuario, ne sottolineava anche l’importanza
per il discernimento dei giovani. Lo stesso concetto è stato poi ampiamente
ripreso da papa Francesco nel messaggio per l’inaugurazione. Un giovane che
viene a fare discernimento ad Assisi, cosa può trovare in questo Santuario?
Trova quello che ha trovato Francesco, cioè il senso di una
Chiesa madre che lo può accogliere e accompagnare nei grandi interrogativi che
un giovane si deve porre per immaginare il suo futuro e per dare risposta alla
domanda: “Che cosa il Signore mi chiede, cosa debbo fare della mia vita?”.
Trova la maniera per affrontare i problemi. Francesco ha usato la strada della
riflessione: si è messo dinanzi al crocifisso e ha iniziato a interrogarsi e a
interrogare, trovando anche il vescovo con cui si è consultato.
Il Santuario come si
inserisce, dal punto di vista storico, artistico e spirituale, nel contesto
assisano? Qual è l’invito che si sente di rivolgere non solo ai pellegrini ma
anche ai turisti per riscoprire il carisma di Francesco e, magari, per
acquisirlo come stile di vita?
La città e la Chiesa assisana stanno rispondendo bene al
Santuario, è un crescendo di interesse che ha registrato anche la pronta
adesione di tutte le famiglie francescane. A questo proposito, ho recentemente
ricevuto tutti i provinciali d’Italia delle diverse famiglie ed è stato bello
vedere come i figli di Francesco sentono qui un luogo genetico del loro
carisma, come lo sente la Chiesa di Assisi che è la madre di Francesco.
Quindi questo Santuario, che si colloca nella casa del
vescovo laddove Francesco ha fatto quella che potremmo definire la sua
professione religiosa, esprimendo pubblicamente la sua consacrazione a Dio
nelle mani della Chiesa, rappresenta per le famiglie francescane un ulteriore
incoraggiamento a riscoprire tutta la carica profetica di Francesco - ed è
quello che sta avvenendo - per potersi rinnovare in funzione del Vangelo, per
reimparare profondamente il senso della spogliazione come momento di
scaturigine del loro carisma. Anche chi viene senza una grande fede, ma solo
perché simpatizza per Francesco, qui si ritrova interpellato, avverte che sulla
spogliazione si gioca gran parte del senso della vita e della società, della
nostra storia. In questo primo anno c’è stata una adesione davvero massiccia.
Il primo anniversario dell’inaugurazione vedrà una novità: in questo luogo c’è
stato un vescovo, nel secolo scorso, monsignor Giuseppe Placido Nicolini (nella foto) che ha retto questa diocesi
per quasi cinquant’anni e che si è reso benemerito della salvezza di trecento
ebrei all’epoca della Shoa, facendo un’opera che papa Francesco ha definito di
spogliazione, correndo un rischio grandissimo. Il Santuario accoglierà così
anche un museo dedicato ai giusti della spogliazione che, tra le numerose
testimonianze, vedrà la cappellina di famiglia dove Gino Bartali si ritirava in
preghiera, gentilmente donataci dalla famiglia del campione.
Per concludere:
recentemente ha incontrato papa Francesco. Ci sono novità in vista per Assisi?
È stata un’occasione per fare il punto sul cammino di questa
Chiesa che gli è tanto cara visto che ha preso il nome del nostro santo e gli
ho parlato di queste realtà che stanno crescendo. Quando l’ho aggiornato sul
Santuario e di come sta avendo una grande adesione, ha detto che è stata
davvero una buona intuizione. Gli ho parlato anche del cammino che stiamo
facendo, come Chiesa, per ritessere sui passi di Francesco la comunità
cristiana intorno al concetto di fraternità, di famiglia evangelicamente
costruita. Si tratta del rinnovamento delle parrocchie attraverso una rete di
piccole comunità denominate “famiglie del vangelo”. Ovviamente gli ho ripetuto
l’invito a tornare ad Assisi: potrebbe sembrare troppo, ma non con un papa che
si chiama Francesco…
Da San Bonaventura informa n. 63 - aprile 2018
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