sabato 4 febbraio 2017

LA CHIESA DELLE CONTRAPPOSIZIONI

Il manifesto contro papa Francesco, apparso per le strade di Roma, non è a tutela della Chiesa e della dottrina, è piuttosto il gretto gesto di chi ama creare polveroni nascondendosi dietro quella polvere che cerca di sollevare.
Il primo elemento da rimarcare è senza dubbio quello dell'anonimato: gettare il sasso e nascondere la mano non è da persone serie, non è da uomini che vorrebbero dare lezioni di vita e di comportamento ad altri.
Parlare e mostrare quella immagine credo sia giusto, non solo per sfuggire a qualche accusa di censura ma per sottolineare la pochezza di un metodo che è preoccupante, tanto più se verosimilmente riconducibile a cattolici che, magari dietro l'angolo, giurano di amare la Chiesa e pronunciano sermoni sui valori evangelici.


Chissà se quelle poche righe in romanesco portano le "impronte" di qualche uomo di Chiesa, di qualche praticante di ferro, di qualche giornalista che si vanta di saper scrivere sul mondo vaticano.
Non lo so e, sinceramente, non voglio neppure pensarci. Quel manifesto intendo strapparlo, dopo queste brevi considerazioni, dalla mia mente.

Il problema non è il contenuto ma il tipo di scontro e l'infimo livello che si sta toccando.
Il problema non è neppure papa Francesco, le sue scelte, i suoi documenti, le sue parole, i commissariamenti di Congregazioni, rimozioni di sacerdoti, "decapitazioni" dell'Ordine di Malta e dei Francescani dell'Immacolata, mancata considerazione per il ruolo dei cardinali, ovvero tutto ciò che gli si rimprovera.

Il problema vero, a mio avviso, è in una fede che si dimostra claudicante e poco evangelica, è in un pensiero che riconduce tutto alla logica delle contrapposizioni che popolano e rovinano le nostre vite, è in una appartenenza alla Chiesa che, invece di essere seme e testimonianza, indossa le vesti di giudice.
Non sono scandalizzata da quel manifesto né dal fatto che si critichino le scelte di un pontefice, piuttosto sono seriamente preoccupata per la spirale nella quale siamo finiti, per il metodo, per le pretese di superiorità e per la costituzione di fazioni che si ingrossano di giorno in giorno, che chiamano in causa Cristo dimenticandone i passi.  

Forse dovevamo prevedere questo momento e, da cristiani che amano la Chiesa, dovevamo metterci del nostro nell'abbattere i muri che stavano crescendo.
Le contrapposizioni tra i pontefici, i paragoni, il tifo da fan club doveva farci capire che non si stava più guardando alla Chiesa e a Cristo ma all'uomo papa e, quindi, con un pericoloso appiattimento del nostro sguardo, tanto da precluderci un orizzonte ben più ampio e capace di aprire al vero Bene.
I pericolosi confronti tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, tra Benedetto XVI e Francesco erano i chiari sintomi di una degenerazione che è maturata velocemente e che richiede, quanto prima, di abbattere i muri, di uscire da ogni tipo di fazione e di rimetterci tutti assieme in cammino sui passi di una Chiesa che fa capo non ai singoli pontefici ma a Cristo.

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