sabato 9 gennaio 2016

Quando bisogna fermare la penna

"Sollevo la penna, perché non voglio balbettare ciò che non saprei spiegare".

Me la sono ripetuta tante volte questa frase, la prima volta che ho letto il Trattato dei miracoli di Tommaso da Celano.

E la ripeto, cadenzando le parole, ogni volta che mi imbatto in questo passo del primo biografo di san Francesco di Assisi.

Al di là della bellezza e dell'intensità del racconto, nel quale si narra la visita a Francesco morente da parte della nobildonna romana chiamata frate Jacopa dal Poverello, provo una grande ammirazione per la lucidità con cui fra Tommaso da Celano decide di fermare lì il proprio racconto, per non balbettare ciò che non saprebbe spiegare.

La professione di giornalista ti porta a guardare i fatti in modo diverso, a leggerli in filigrana, a comprendere se si tratti solo di un fatto o se c'è anche una notizia, ovvero se può avere una rilevanza tale da essere portato a conoscenza degli altri.

Ci si impegna tanto per andare a fondo dei fatti, per offrirne dettagli e interpretazioni - spesso liberamente tratte dalla propria fantasia -  ma difficilmente si ha la forza e il coraggio di fermarsi, di rimanere sulla soglia di quello che è palese, senza addentrarci in percorsi nei quali non sapremmo orientarci e potremmo far perdere anche chi ci legge.

Ecco la grandezza di questa frase che rappresenta una chiara indicazione a chi fa questo mestiere, sempre più vetrina e sempre meno servizio: sollevare la penna per non balbettare ciò che non si può spiegare.

In un'era di tuttologi, dove l'umiltà non alberga neppure in chi si è appena affacciato al difficile mestiere di raccontare, questa frase è un comandamento da seguire e un faro con cui illuminare ogni passo.

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