Non
è difficile immaginare l'appartamento del papa nella Domus Sanctae Marthae,
abitato stabilmente dalla sera del 13 marzo per quei “motivi psichiatrici” con
cui Francesco ha sintetizzato efficacemente il desiderio di non vivere da solo
nel Palazzo Apostolico ma di stare assieme ad altri membri del clero.
Lo
abbiamo visto spoglio quell'appartamento, nelle riprese televisive prima
dell'elezione. Lo stile di Francesco, così essenziale e improntato alla
semplicità, non ci fa pensare a suppellettili sontuose, a quadri da collezionisti,
realizzati con tecniche particolari e con chissà quale valore sul mercato.
Ma
su una di quelle pareti potrebbe essere appeso un quadro speciale, raffigurante
san Francesco, dal valore inestimabile perché quel quadro è il testamento di un
bambino che ha combattuto contro una grave forma tumorale, senza vincere.
A
ripercorrere le emozioni di quel dono particolare e dell'incontro con papa
Francesco è Krzysztof Bramorski, un giovane avvocato polacco attivo nel
volontariato e, in particolare, in una Fondazione che si occupa di bambini
malati di cancro.
Krzysztof Bramorski, come
nasce questo legame con la Fondazione?
Posso
dire che si tratta di un legame ereditato da mio padre che, oltre venti anni
fa, fu invitato dal direttore della clinica la professoressa Jaworska, a
occuparsi di questa realtà benefica. Così, nei successivi anni mio padre è stato
il primo presidente del consiglio direttivo e quindi presidente del consiglio
della Fondazione. Nel 1994 anche io ho iniziato ad adoperarmi nella raccolta di
fondi per l'acquisto di macchinari necessari alle terapie e, in particolare,
dal 2006 con il mio studio legale organizziamo ogni anno una grande asta di
beneficienza finalizzata proprio all'acquisto di strumenti necessari nella cura
dei tumori.
Come è nata questa visita al
Santo Padre e con quali aspettative?
Nel
2004 ho organizzato la prima visita dei bambini con Giovanni Paolo II in
Vaticano e durante il viaggio di Benedetto XVI in Polonia ho promosso un
incontro con papa Ratzinger, a Cracovia, nella basilica della Divina
Misericordia. Dopo l'elezione di papa Francesco ho provato a chiedere un
incontro per questi bambini e, grazie all'aiuto di monsignor Celestino Migliore
nunzio a Varsavia, sono riuscito a ottenerlo. Un giorno monsignor Migliore mi
ha chiamato dicendomi che il papa ci avrebbe ricevuto in un'udienza speciale
appena due settimane dopo. I tempi erano molto stretti ma non potevamo far
perdere ai bambini questa straordinaria occasione, così abbiamo organizzato in
fretta il viaggio al quale hanno partecipato ventuno bambini o ragazzini di età
compresa tra i 2 e i 18 anni, affetti dalle più gravi forme di tumore e
leucemie, accompagnati da medici e familiari.
Quindi
il viaggio a Roma e l'incontro con papa Francesco. Cosa ha significato, per
questi bambini che stanno vivendo la dura esperienza della malattia, incontrare
il papa?
Per
tutti questa visita rappresentava più o meno un “viaggio per il miracolo”,
aspettavano con ansia e gioia la preghiera alla tomba di Giovanni Paolo II, l'incontro
con Francesco, la sua preghiera e la sua benedizione. Presentandoci al Santo
Padre ho sottolineato, riprendendo le parole di papa Wojtyla, come quei bambini
erano venuti dalla Polonia, da un paese lontano, ma sempre vicino nella fede e
nella tradizione cristiana, che portavamo le preghiere di tanti bambini malati,
il loro dolore, la loro paura e la loro speranza di riguadagnare salute e poter
avere una vita lunga e piena di gioia.
Vivere
con bambini che non hanno futuro è un'esperienza che tocca nel profondo, ricordo
una storia avvenuta nel 2004 mentre attendevamo nel Palazzo Apostolico l'udienza
con Giovanni Paolo II. Un ragazzino di 14-15 anni, dopo aver visto che parlavo
con una guardia svizzera, mi chiese se fosse possibile imparare una lingua
straniera in un anno. Gli risposi di sì, che era giovane e avrebbe imparato velocemente,
promettendogli di regalargli un libro che avrebbe potuto cominciare a leggere
durante il viaggio di ritorno. Poi mi chiesi perché insisteva tanto sul fatto
di imparare in un anno e la risposta me la dette un medico: quel ragazzino sapeva
che avrebbe vissuto solo quel tempo. La cosa straordinaria è che quel ragazzo è
vivo e può imparare le lingue che vuole!
Qual è stata l'impressione dei
bambini incontrando questo papa?
A destra del papa, Krzysztof Bramorski |
Francesco
è un uomo molto diretto, franco, vero e questo lo abbiamo sentito chiaramente.
Non interpreta alcun ruolo è lui e basta e questo i bambini lo avvertono in
modo particolare. Da parte sua ha compreso subito le aspettative di quei bimbi che
attendevano di sentire, profondamente, la sua presenza, la sua vicinanza, la
sua preghiera. Ho avuto modo di stare per tutto l'incontro a fianco del papa ed
ho visto chiaramente in che modo pregava con ognuno di quei bambini, con quale
amore li benediceva. C'era un silenzio irreale, un'attesa dei cuori che è stata
davvero commovente. I bambini, dinanzi a questa carica di amore, sono stati
loro stessi e così è apparso persino normale che papa Francesco dovesse stare
fermo a lungo attendendo che uno di loro scattasse la sua foto!
Veniamo al quadro raffigurante
san Francesco, un dono particolare per il papa, soprattutto per la storia che
sta dietro a quel lavoro…
Il
quadro, fatto con la tecnica del collage, rappresenta un san Francesco
sorridente, contornato da pecore, caprette, dal lupo, da farfalle e uccelli
colorati, in una natura perfettamente armonica. Quel quadro è stato realizzato appositamente
per il papa da Pietro, un bambino di neppure dieci anni, che purtroppo è morto
un paio di settimane prima dell'incontro con Francesco. Al momento della
consegna del dono ho fatto questo doveroso accenno al Santo Padre che, ricevuto
il quadro e vistosamente toccato dalla storia, ha chiesto a uno dei suoi collaboratori
di portarlo nel suo appartamento. Una ulteriore dimostrazione della sensibilità
di papa Francesco che si fa toccare nel profondo del cuore.
Dalla professione di avvocato
a promotore di iniziative nell'ambito della solidarietà. Cosa significa vivere
questa esperienza a fianco del dolore e, qualche volta, purtroppo della morte?
Chi
ha visitato un ospedale per bambini malati di cancro e leucemie non può andare
via senza pensare “devo fare qualcosa”. Ci sono momenti molto difficili, quando
si torna alla clinica e non si trova più qualche viso, ma è un'esperienza nella
quale i bambini, in modo speciale, fanno capire a noi adulti il senso della
vita e della morte. Loro vedono le cose in modo semplice, immediato, come sono,
senza complicare tutto come facciamo invece noi adulti. I bambini che sanno di
dover morire chiedono come sarà dall'“altra parte” e non “perché”. Segno che
abbiamo tanto da imparare da loro, sulla vita, sulla morte e sul senso più vero
della fede.
Articolo pubblicato da La Perfetta Letizia
Articolo pubblicato da La Perfetta Letizia
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