È un
cantico delle creature l’omelia di papa Francesco per l’inizio del ministero
petrino, un inno all’amore per il creato e gli uomini.
Un
cantico che non conosce tempo, come l’amore, l’umiltà, la fedeltà, la premura,
ma solo declinazioni temporali. E adesso è il tempo di richiamare l’attenzione
verso valori dai quali non si può prescindere, valori non negoziabili.
Papa
Bergoglio è arrivato sul sagrato per l’inizio della messa dopo un lungo giro
nella piazza a bordo di una jeep dalla quale ha salutato i fedeli, prendendo in
braccio qualche bambino e fermandosi a lungo per salutare e baciare un
portatore di handicap. Poi l’ingresso in basilica e la sosta davanti alla tomba
di san Pietro dalla quale è partita la processione accompagnata dal canto delle
“Laudes Regiae” con i patriarchi delle Chiese orientali cattoliche, i
cardinali, sino alla piazza in un collegamento simbolico tra il luogo di
sepoltura di Pietro e quello del suo martirio.
Nella
piazza il papa ha ricevuto il pallio, simbolo del vescovo come pastore, e
l’anello del pescatore raffigurante san Pietro con le chiavi, cui è seguito
l’atto della promessa di obbedienza da parte dei cardinali.
Un
atto di riverenza al papa che da oggi inizia ufficialmente il suo servizio alla
Chiesa, ricordando quella missione che Dio ha affidato a Giuseppe, ovvero di
essere custode di Maria e Gesù.
“Come
esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio,
ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende”
ha sottolineato il papa.
Un
esempio di attenzione agli avvenimenti, di disponibilità, di incondizionato affidamento
alla volontà di Dio.
“In
lui cari amici – ha aggiunto papa Francesco - vediamo come si risponde alla
vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il
centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita,
per custodire gli altri, per custodire il creato”.
Un
tema ricorrente quello del creato, in perfetto stile francescano: “è il
custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel
Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere
rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il
custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore,
specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che
spesso sono nella periferia del nostro cuore”.
Come
Dio ha incaricato Giuseppe di farsi custode della propria famiglia, così papa Francesco
in questo avvio di pontificato richiama tutti a un senso di responsabilità per
essere custodi dei doni di Dio.
Lo
fa espressamente con coloro che rivestono incarichi di responsabilità nei
settori politico, economico, sociale - provenienti da tutto il mondo e presenti
sul sagrato - dai quali dipendono spesso le sorti di intere popolazioni: “siamo
custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi
dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino
il cammino di questo nostro mondo”.
Un
impegno che parte innanzitutto dall’amore e dalla responsabilità verso se
stessi, sottolineando come “l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita.
Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore,
perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono
e quelle che distruggono. Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche
della tenerezza”.
Farsi
custodi e promotori di bontà e tenerezza rappresenta quindi un nuovo approccio
al mondo, non come elemento di debolezza ma di reale forza, la forza dell’amore
verso se stessi e gli altri.
Presupposto
anche per generare speranza in noi e negli altri, per “aprire uno squarcio di
luce in mezzo a tante nubi”.
A
questo compito di amore richiama papa Francesco nel giorno di inizio del suo
ministero petrino inteso non come potere ma come servizio e “anche il papa –
precisa - per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che
ha il suo vertice luminoso sulla croce; deve guardare al servizio umile,
concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per
custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera
umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli”. (eli)
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