Nei
giorni scorsi avevo proposto questa mia intervista - pubblicata da Rai Vaticano
- con il professor Orlando Todisco dell'Ordine dei frati
minori conventuali, filosofo e docente emerito alla Pontificia Facoltà teologica
"San Bonaventura" Seraphicum di Roma.
Realizzata poco prima dell'elezione di papa Francesco, l'intervista metteva in risalto una visione di Chiesa estremamente autentica, attenta all'uomo, al bene comune, attraverso una sorta di ritorno all'essenza del messaggio evangelico.
Il professor
Todisco aveva toccato temi come la natura del papato, l'immagine del pontefice
oggi, il ruolo dello Spirito Santo e l'auspicio per una Chiesa di domani capace
di rispondere pienamente alle aspettative del popolo di Dio.
Quel domani
sembra essere già arrivato, sulla scia di un pontificato impegnativo - quello
di Benedetto XVI - e con un nuovo pastore che propone una Chiesa povera e per i
poveri, che richiama alla misericordia, all'amore per il creato e per ogni
uomo, che interpreta il pontificato non come potere ma esclusivamente come servizio
al popolo di Dio, in particolare ai più poveri, ai più deboli, ai più piccoli.
A una
settimana dall'elezione di papa Francesco l'intervista a padre Todisco appare
profetica.
Per questo la
ripropongo, invitando a un parallelo con quanto abbiamo ascoltato e visto, in
questi giorni, dal nuovo successore di Pietro.
Il significato della rinuncia di papa Ratzinger
“La ‘barca di
Pietro’ è diventata troppo ‘’grande’, e il mare è in tempesta. Benedetto ha
voluto che un altro ne prendesse il timone. Tra quanti hanno rinunciato –
Celestino V nel 1294, Gregorio XII nel 1415 – Benedetto è l’unico che l’ha
fatto senza alcuna pressione esterna. Per questo la scelta è estremamente significativa,
più delle pur magistrali lezioni di Ratisbona e di Parigi, dal momento che ha
fatto capire che il primato spetta alla Chiesa del popolo di Dio, per
il cui bene ogni ministero gerarchico, a partire da quello petrino, deve essere
esercitato. Uno dei significati di questo gesto sta forse nella
messa in discussione del papato come potere assoluto e solitario”.
Qual è l’immagine che si ha oggi del papa e che peso riveste la sacralità
della sua figura?
“Il nuovo
papa non ha bisogno di un’aura di santità, né che sia chiamata santa la sua
persona o che venga detta santa la sua Sede. Ciò che si auspica è
che sia pastore di una Chiesa più sinodale, espressione di comunione
sacramentale dell’umanità, ritornando forse al papa dei primi secoli. Si sa
che in principio il papa era solo il ‘successore di Pietro’, e che solo in
seguito, per esigenze prevalentemente politiche o sociali, è diventato prima
‘vicario di Cristo’ e poi, nell’età secolarizzata, ‘vicario di Dio’. Ma più che
il ritorno alle dimensioni umili e semplici delle origini, il problema è che sappia
mettere la Chiesa nelle condizioni di poter offrire alla società contemporanea
i suoi infiniti tesori di grazia e di saggezza nel contesto di una dialogicità
comunionale di segno non censorio, ma oblativo”.
Il "ruolo" dello Spirito Santo nell'elezione di un pontefice
“La fede ci
porta a mettere al centro lo Spirito Santo, protagonista dell’evento elettivo.
Dovremmo forse aggiungere che è lo stesso Spirito che ci rende prossimi
gli uni agli altri, che ci porta a riconoscerci simili e differenti, alla
ricerca di una convivenza pacifica e giusta. Perché allora tanta
conflittualità? Perché tanta ingiustizia? Perché tante divisioni? E che ne è
dello Spirito, fonte della ‘communio ecclesiarum’? Ma è ancora protagonista lo
Spirito? Sono interrogativi che la fede mette a tacere, anche se ritornano con
insistenza, con la speranza che il nuovo pastore contribuisca, se non a
spegnerli, ad attenuarne la tragicità”.
Professor Todisco, per concludere, qual è il suo auspicio non solo per il
nuovo pontefice ma per la Chiesa di domani?
“Chiesa-mondo,
questo il binomio fondamentale e inscindibile dal momento che la Chiesa
annuncia il Regno nel mondo e al mondo dispensa il suo patrimonio. Come
definire tale rapporto? Se si pensa a una Chiesa troppo vicina al mondo si cade
nella mondanizzazione; se si pensa a una Chiesa troppo legata al Regno si
cade nella spiritualizzazione. Quale allora la via? Più che
criticare o condannare la modernità, credo che la Chiesa debba accoglierla e
insieme orientarne le immense ricchezze in una nuova direzione.
Un’operazione estremamente difficile e impegnativa, perché si tratta di
guidare la modernità dall’autoidolatria o l’esaltazione del sé, verso l’altro
da porre strategicamente al centro dell’orizzonte della propria progettualità.
Al primo posto non il bene privato, né il bene pubblico. Al primo posto il bene
comune, e cioè la comunione tra i soggetti ai molti livelli della
convivenza, a partire dalle Chiese. Un traguardo altissimo e sommamente
impegnativo”. (eli)
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