Credo
sia questo uno degli articoli emotivamente più "difficili" da
scrivere, per più motivi: la notizia improvvisa e inattesa delle dimissioni del
papa con la conseguente incredulità, la consapevolezza di quanto sia stata una
decisione sofferta, la certezza di trovarsi dinanzi a un fatto che segnerà la
storia della Chiesa.
In
questa giornata caotica, approfittando di un lungo viaggio, ho ascoltato un'infinità
di commenti, spesso tra loro discordanti ma rispettosi di una scelta, altri
improntati alla massima banalizzazione di un momento storico che è anche
personale seppur con riflessi diretti sulla comunità mondiale dei cattolici, in
gran parte sbalordita per quanto accaduto stamani in Vaticano.
Sono
passate ormai diverse ore dalla "declaratio" di Benedetto XVI nel
Concistoro ordinario pubblico convocato per alcune cause di canonizzazione. Una
seduta che non doveva avere niente di straordinario. Sino al momento in cui il
papa ha dato lettura di una comunicazione che ha segnato un passaggio storico
nelle vicende della Chiesa. Di solito la successione al soglio di Pietro avviene
con la morte del pontefice, come ci dicono la consuetudine e persino il diffuso
adagio romano "morto un papa se ne fa un altro". Ma questa volta gli
eventi impongono di fermarsi e comprendere quanto accaduto, evitando - se
possibile - facili valutazioni e giudizi tendenti ad alimentare gli schieramenti
di parte.
Papa
Ratzinger lascerà nella storia della Chiesa l'immagine di un pontefice, e ancor
prima, di un uomo umile ma anche coraggioso.
Quello
che doveva essere un pontificato di passaggio, tra il vigoroso e operativo Giovanni
Paolo II e un nuovo papa, ha dimostrato di non essere una semplice parentesi
nel governo della Chiesa universale.
Il
pontificato di Benedetto XVI ha affrontato con determinazione molte questioni
interne ed esterne al Vaticano, trovandosi addosso bufere sino ad allora
congelate come quella della pedofilia. Uno degli aspetti sui quali papa Ratzinger
ha peraltro sempre dimostrato coraggio e sensibilità.
La
figura del teologo freddo, incapace ad emozionarsi ed emozionare si è pian
piano disciolta alla luce di quelle catechesi, dei documenti magisteriali, degli
scritti prodotti in questi sette anni di pontificato.
Non
appena è stato chiaro che papa Ratzinger non poteva essere giudicato solo sulla
base della sua "scioltezza" comunicativa ma che andava ascoltato con
attenzione, allora sono aumentati in maniera esponenziale i giudizi positivi.
Può sembrare una banalità ma sappiamo quanto l'immagine sia spesso un concreto
ostacolo a un desiderio e persino a un bisogno vero di conoscenza.
L'umile
servitore nella vigna del Signore, come si definì efficacemente nel giorno
dell'elezione, ha effettivamente svolto il suo lavoro di pastore della Chiesa
universale, giorno dopo giorno, chino sui problemi (non pochi) del suo gregge,
alle prese con relativismo, secolarizzazione e nuove nonché insidiose sfide
della moderna società.
Un
pontificato denso e difficile che ha richiesto coraggio per essere portato
avanti, tra le tempeste esterne alle mura leonine ma anche tra quelle interne
che, probabilmente, hanno minato il suo "vigore dell'animo".
Vatileaks è stato sicuramente uno dei momenti più difficili del pontificato,
condito da lotte intestine e, sul piano più "familiare", dal
tradimento dell'assistente di camera, quel Paolo Gabriele poi graziato dallo
stesso papa, nonostante tutto. Ma non si parli troppo a voce alta di questa
vicenda, per evitare che l'autore del libro che ha messo in piazza la
corrispondenza privata del pontefice - tal Gianluigi Nuzzi - possa in qualche
modo convincersi di avere avuto un ruolo determinante nella caduta di un re.
Quello
che forse è bene sottolineare è come il coraggio sia necessario non solo nel
proseguire un'esperienza ma anche nel porvi termine. E la vicenda di oggi lo
dimostra chiaramente. La scelta di Benedetto XVI di lasciare la guida della Chiesa
non è un gesto di debolezza bensì un atto di coraggio, di grande umiltà e di amore,
forse anche di devozione.
Ascolteremo
tante teorie romanzate da qui al termine del pontificato - fissato dallo stesso
Ratzinger per il 28 febbraio - ma qualche volta sarebbe opportuno dare maggiore
credito alle parole che ascoltiamo.
"Dopo
aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio - ha detto
Ratzinger nel suo messaggio in latino -, sono pervenuto alla certezza che le
mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo
adeguato il ministero petrino". Ed ancora: "nel mondo di
oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza
per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il
Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore
che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la
mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato". Da qui:
"ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro
di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me
affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio
2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e
dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del
nuovo Sommo Pontefice".
Una
decisione improvvisa ma di certo non improvvisata: papa Ratzinger, proprio come
chi si appresta a "partire", aveva rimesso recentemente in ordine
anche i numeri del collegio cardinalizio con la nomina di sei nuove berrette a
fine novembre.
Forse
a questo punto il coraggio spetta a noi nel saper cogliere l'audacia e l'umiltà
di quella scelta, dettata da un evidente amore per il bene della Chiesa.
Lasciando da parte
qualsiasi congettura che possa allontanare dalla verità e senza gridare allo
scandalo. In fin dei conti chi crede nel Cristo che si è fatto uomo non
dovrebbe certo scandalizzarsi per un papa che rimane uomo, profondamente uomo,
sino a riconoscere le sue fragilità. (eli)
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