Il
bar dei social network, in molti suoi “tavoli”, assomiglia ben poco a un caffè
letterario e troppo a una bettola nella quale offese e spropositi volano sulle
ali di una inebriante sensazione di onnipotenza, declamati da quelle bacheche
affacciate sul mondo.
Tutto
viene confuso tra i fumi della persecuzione, della denuncia, degli slogan
facili tanto che il significato più profondo dei concetti sfuma in forme
linguistiche prostituite alla voracità di quanti sono disposti a bersi
qualsiasi prodotto a occhi chiusi, accettando di travisare la realtà e
l’evidenza dei fatti, peraltro facilmente riscontrabile.
Gli
esempi sono quotidiani, l’ultimo macroscopico è quello relativo al messaggio diffuso
ieri da papa Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace che sarà
celebrata il primo gennaio e nel quale si è puntato il dito contro affermazioni
inesistenti.
Persino
un messaggio sulla pace riesce a divenire strumento di guerra ideologica che va
a pascere cattiva fede verso gli altri e ancor prima nei confronti della
propria intelligenza.
Un
problema che si consuma su più piani, partendo da quello evidentemente
ideologico di chi cerca ogni presupposto per attaccare il pontefice, dando una
lettura parziale dei suoi documenti quando addirittura non strumentalizzata ai
propri fini, compreso quello di assecondare il sensazionalismo e quindi di
elemosinare la vendita di qualche copia in più o forse il plauso di qualche
potere forte.
L’altra
faccia della medaglia è l’assenso incondizionato che trovano certe posizioni,
solitamente contrabbandate per denunce contro un sistema che andrebbe a privare
l’uomo di dignità, giustizia e libertà, rimbalzate nell’estrema sintesi degli
slogan da social network.
Il
primo problema ha sicuramente le aggravanti del dolo ed è riconducibile a
professionisti dell’informazione – mi perdonino quelli intellettualmente onesti
- che avrebbero l’obbligo di conoscere quello che vanno a scrivere. E invece
sorge il legittimo dubbio che si vada volontariamente a estrapolare qua e là
frasi utili a costruire una lettura ad hoc per innescare o fomentare un
presunto scandalo addebitando al papa parole mai pronunciate né scritte.
È
sufficiente vedere i titoli gridati di grandi quotidiani nazionali per
comprendere che siamo finiti nel vicolo cieco della mancanza di informazione, di
deontologia professionale e forse, ancora prima, di quella morale che impone di
essere onesti con se stessi e con gli altri.
Quella
frase del papa sulle nozze gay come ferita alla giustizia e alla pace non
esiste. Eppure i giornali ci hanno costruito i titoli richiamando lo sdegno di
tutti coloro che non sentono il bisogno di informarsi prima di sposare una
causa o di lanciare invettive e offese.
Nelle
ultime ventiquattro ore i social network hanno fatto rimbalzare frasi a
effetto, slogan, offese su questo papa così razzista, lontano dal messaggio di
Cristo, persecutore degli omosessuali. E man mano che la notizia circola si
porta dietro, come una micidiale valanga, un numero crescente di creduloni che
si associano allo scatenato esercito dei fustigatori di papa Benedetto.
Una
riflessione sorge spontanea proprio sulla comunicazione e sulla deriva che sta
prendendo l’avanzante incapacità di leggere, di conoscere e di approfondire.
I
contenuti degni di interesse sui social network sono ormai quelli che si
riducono a un tweet, a poche battute, a una immagine, a una vignetta. I testi
sembrano non avere più cittadinanza nei nostri spazi quotidiani, monopolizzati
dalla velocità ma soprattutto da un tipo di informazione semplificata al
massimo. Una informazione che si basa su frasi a effetto, su slogan spesso
offensivi, sull’erosione del contesto, su vere e proprie manipolazioni e che –
per tutto questo – non può più rivendicare il nome di informazione bensì di
propaganda e disinformazione. (eli)
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