sabato 15 dicembre 2012

Social network: caffè o bettola?


Il bar dei social network, in molti suoi “tavoli”, assomiglia ben poco a un caffè letterario e troppo a una bettola nella quale offese e spropositi volano sulle ali di una inebriante sensazione di onnipotenza, declamati da quelle bacheche affacciate sul mondo.
Tutto viene confuso tra i fumi della persecuzione, della denuncia, degli slogan facili tanto che il significato più profondo dei concetti sfuma in forme linguistiche prostituite alla voracità di quanti sono disposti a bersi qualsiasi prodotto a occhi chiusi, accettando di travisare la realtà e l’evidenza dei fatti, peraltro facilmente riscontrabile.

Gli esempi sono quotidiani, l’ultimo macroscopico è quello relativo al messaggio diffuso ieri da papa Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace che sarà celebrata il primo gennaio e nel quale si è puntato il dito contro affermazioni inesistenti.
Persino un messaggio sulla pace riesce a divenire strumento di guerra ideologica che va a pascere cattiva fede verso gli altri e ancor prima nei confronti della propria intelligenza.
Un problema che si consuma su più piani, partendo da quello evidentemente ideologico di chi cerca ogni presupposto per attaccare il pontefice, dando una lettura parziale dei suoi documenti quando addirittura non strumentalizzata ai propri fini, compreso quello di assecondare il sensazionalismo e quindi di elemosinare la vendita di qualche copia in più o forse il plauso di qualche potere forte.
L’altra faccia della medaglia è l’assenso incondizionato che trovano certe posizioni, solitamente contrabbandate per denunce contro un sistema che andrebbe a privare l’uomo di dignità, giustizia e libertà, rimbalzate nell’estrema sintesi degli slogan da social network.
Il primo problema ha sicuramente le aggravanti del dolo ed è riconducibile a professionisti dell’informazione – mi perdonino quelli intellettualmente onesti - che avrebbero l’obbligo di conoscere quello che vanno a scrivere. E invece sorge il legittimo dubbio che si vada volontariamente a estrapolare qua e là frasi utili a costruire una lettura ad hoc per innescare o fomentare un presunto scandalo addebitando al papa parole mai pronunciate né scritte.
È sufficiente vedere i titoli gridati di grandi quotidiani nazionali per comprendere che siamo finiti nel vicolo cieco della mancanza di informazione, di deontologia professionale e forse, ancora prima, di quella morale che impone di essere onesti con se stessi e con gli altri.
Quella frase del papa sulle nozze gay come ferita alla giustizia e alla pace non esiste. Eppure i giornali ci hanno costruito i titoli richiamando lo sdegno di tutti coloro che non sentono il bisogno di informarsi prima di sposare una causa o di lanciare invettive e offese.
Nelle ultime ventiquattro ore i social network hanno fatto rimbalzare frasi a effetto, slogan, offese su questo papa così razzista, lontano dal messaggio di Cristo, persecutore degli omosessuali. E man mano che la notizia circola si porta dietro, come una micidiale valanga, un numero crescente di creduloni che si associano allo scatenato esercito dei fustigatori di papa Benedetto.
Una riflessione sorge spontanea proprio sulla comunicazione e sulla deriva che sta prendendo l’avanzante incapacità di leggere, di conoscere e di approfondire.
I contenuti degni di interesse sui social network sono ormai quelli che si riducono a un tweet, a poche battute, a una immagine, a una vignetta. I testi sembrano non avere più cittadinanza nei nostri spazi quotidiani, monopolizzati dalla velocità ma soprattutto da un tipo di informazione semplificata al massimo. Una informazione che si basa su frasi a effetto, su slogan spesso offensivi, sull’erosione del contesto, su vere e proprie manipolazioni e che – per tutto questo – non può più rivendicare il nome di informazione bensì di propaganda e disinformazione. (eli)

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