Ogni domenica, in ogni chiesa, la stessa scena direttamente proporzionale al numero dei partecipanti e al grado di maleducazione: i cellulari che squillano, vibrano e i loro possessori che rispondono a chiamate, sms e sbirciano la rete.
Qualche tempo fa scrissi un articolo che, per la sua immutata attualità, ripropongo qui.
Il Signore comunica con noi in tanti modi
ma certo non vi chiamerà mai al telefono.
L’invito, dal
taglio decisamente ironico senza per questo rinunciare al senso religioso, è
affisso all’ingresso della chiesa della Natività di Gesù in piazza Pasquino a
Roma. I problemi sono comuni in tutte le parrocchie e la maleducazione di
turisti e fedeli entra indisturbata tra immagini sacre e funzioni liturgiche,
tanto che ogni chiesa è ormai costretta a imporre sul percorso dei fedeli
cartelli e divieti più o meno minatori.
Se ci pensiamo, in ogni chiesa siamo accolti
prima che dall’acquasantiera da una serie di veti che vanno a regolamentare
abbigliamento, fotografie, riprese e soprattutto uso dei telefonini. Le
immagini sono generalmente comuni a ogni edificio di culto, con la
rappresentazione di cellulari e macchine fotografiche vistosamente barrati, per
cercare di arginare comportamenti scorretti, penetrando nell’ambito di un buon
senso che dovrebbe agire autonomamente. Ma l’esperienza insegna che non è così,
e dunque ogni parrocchia si attrezza per vietare o perlomeno per ricordare che
non è conveniente portare in chiesa telefoni accesi, in particolare durante le
funzioni.
Niente di nuovo dunque, ma nel caso di questa
chiesa romana nei pressi di piazza Navona, l’invito a spegnere il telefonino
non ha solo un carattere coercitivo nei confronti di comportamenti tanto
diffusi, bensì invita, anche con la giusta dose di ironia, a riflettere
sull’uso di uno strumento di cui si fa vero e proprio abuso. Il tenore
dell’avvertimento si riflette in quelle garbate righe scritte al computer e
affisse in una posizione abbastanza defilata, pochi passi prima di varcare la
soglia di questa piccola chiesa: niente divieti altisonanti ma l’invito a una
riflessione, proprio quella che dovrebbe accompagnare – assieme alla preghiera
– la presenza in un luogo sacro.
E così i responsabili di questa chiesa,
ricostruita dopo la metà del 1800 e affidata negli anni recenti alla comunità
congolese, ricordano come il Signore ci possa chiamare in tanti modi ma non
attraverso quel moderno attrezzo tecnologico dal quale non riusciamo mai a
separarci, ancor meno da quando ci permette di essere sempre presenti in rete.
Motivo per cui, almeno quando si entra in un luogo di preghiera e si assiste a
una funzione religiosa, è opportuno spegnerlo. Non tanto silenziarlo che
equivale a una mezza scelta, a quell’essere multitasking che connota l’attuale
società.
Se agli imbarazzanti squilli che riecheggiano
sotto le volte affrescate delle nostre chiese si aggiungono quelle insistenti e
sorde vibrazioni, comprendiamo come il grado di attenzione alla Parola sia
molto basso, divisa tra la funzione religiosa e l’essere sempre a disposizione
di chiunque ci voglia raggiungere.
È certo che l’uso del cellulare è una delle
principali fonti di distrazione tra i fedeli: senza dover arrivare agli estremi
di chi si mette a rispondere durante la messa, di chi attraversa la navata
tenendo stretto in mano l’insistente interlocutore che non desiste dalla
chiamata e di chi sgrana lettera dopo lettera veloci messaggi come si
converrebbe piuttosto – visto il luogo – ai grani del rosario.
Fenomeni cui assistiamo impotenti, e talvolta
indignati, in ogni celebrazione liturgica e che raggiungono un livello
decisamente insopportabile in occasione di matrimoni e cerimonie “di massa” in
cui la presenza in chiesa non rappresenta tanto una libera e consapevole scelta
quanto la necessità di assolvere sino in fondo ai doveri di invitato.
Chi non ricorda il film di Carlo Verdone “Viaggi
di nozze”, con il medico Raniero Cotti Borroni che convola a nozze con il
telefonino attaccato all’orecchio, percorrendo la navata della chiesa a
braccetto della povera sposa mentre dispensa consigli medici ai propri
pazienti?
Una vera e propria “patologia” che ritroviamo in molti colleghi,
amici e persino in noi stessi.
La diffusione di questa pratica la testimoniano
quei divieti alle porte delle chiese, i regolamenti di molte parrocchie che
ritroviamo anche sui rispettivi siti e, naturalmente, l’esperienza di coloro
che stanno dall’altra parte dell’altare e assistono ogni giorno a scene del
genere, spesso non immuni, essi stessi, dalla dipendenza da cellulare. C’è chi
ci ha scritto anche un libro come il domenicano padre Raimondo Sorgia,
dall’esplicito titolo “Un po’ di galateo in chiesa”, riscontrando proprio come
l’uso indiscriminato dei cellulari costituisca il primo, quanto a diffusione,
segnale di maleducazione e di mancanza di rispetto.
Il suono del cellulare disturba la cerimonia,
verrebbe da pensare in prima battuta. E in effetti omelie e consacrazioni
eucaristiche cadenzate dalle più svariate suonerie inducono spesso a cattivi
pensieri anche i sacerdoti e i fedeli più tolleranti. Ma non è solo un problema
di educazione verso gli altri. Lo è innanzitutto verso se stessi, per questa
crescente incapacità di porsi dei limiti, di dettarsi una disciplina e,
soprattutto, di dedicarsi un po’ di tempo. E di silenzio. Lontani da quei
trilli, melodie e vibrazioni potrebbe davvero aprirsi una proficua
comunicazione con chi non ci chiamerà mai al telefono.
(da http://raivaticano.blog.rai.it - 3 ottobre 2011)
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