martedì 23 ottobre 2012

L'ex maggiordomo del papa che si credeva un infiltrato dello Spirito Santo

Gabriele, a sinistra, sulla papamobile
(foto eli)
È stata depositata la sentenza del Tribunale del Vaticano sul processo a Paolo Gabriele, l'ex assistente di camera del papa, condannato a un anno e mezzo di reclusione per la sottrazione di documenti di proprietà del pontefice.
Con la deposizione della sentenza si conoscono nel dettaglio le motivazioni che hanno condotto il tribunale, composto dal presidente Giuseppe Dalla Torre e dai giudici Paolo Papanti-Pelletier e Venerando Marano, a condannare Gabriele a tre anni di reclusione ridotti a uno e mezzo per l’assenza di precedenti penali.
Gabriele è ancora agli arresti domiciliari e vi rimarrà sino alla scadenza dei termini entro i quali il Promotore di giustizia del Tribunale vaticano, Giovanni Giacobbe, potrà decidere se ricorrere in appello. Decorso quel termine, la sentenza diverrà esecutiva e Gabriele sarà trasferito in una cella del Vaticano, non esistendo convenzione per la detenzione in carceri italiane. Rimane comunque plausibile un intervento di Benedetto XVI per la concessione della grazia.

Il processo si era aperto nel Tribunale del Vaticano lo scorso 29 settembre e concluso dopo appena una settimana, il 6 ottobre, con la condanna dell'imputato per furto aggravato, a seguito della sottrazione di numerosi documenti dalle stanze papali, poi finiti nel libro di Gianluigi Nuzzi.
Quella che doveva essere per Gabriele una strada percepita come una sorta di liberazione - "la mia intenzione era quella di trovare una persona con la quale poter sfogare situazioni che mi creavano sconcerto" - in realtà ha messo in subbuglio la famiglia pontificia che, da un giorno all'altro, si è trovata al proprio interno non un "infiltrato dello Spirito Santo" come si è percepito lo stesso Gabriele, bensì un vero e proprio infedele, pronto a diffondere al mondo documenti privati del papa.
Un'operazione che sarebbe iniziata con il caso Viganò, l'ex segretario generale del Governatorato inviato come nunzio apostolico negli Stati Uniti, con una promozione che lo stesso interessato e altri hanno percepito come un allontanamento dalle leve del potere vaticano.
"La raccolta dei documenti - ha spiegato Paolo Gabriele - è iniziata più o meno quando è venuto in evidenza il caso di mons. Viganò e i documenti sono stati raccolti nel tempo. Non sempre singolarmente ma anche in gruppi". Tra questi l'imputato non ha mai escluso la presenza di altri documenti precedenti a quel periodo e, proprio il disordine nel quale è stato rinvenuto il materiale sottratto, giustificherebbe la presenza di oggetti che avrebbero dovuto trovarsi negli uffici del Palazzo apostolico o nei magazzini vaticani, come la pepita forse d'oro, l'assegno da centomila euro intestato al papa e una cinquecentina dell'Eneide. Circostanze che i giudici hanno ritenuto plausibili "in ragione della confusione in cui è stato rinvenuto il materiale sequestrato".
Dettagli emergono anche sulle modalità di acquisizione dei documenti che sarebbero stati riprodotti con la fotocopiatrice che si trova "in un angolo della stanza dalla parte opposta rispetto alla mia postazione" e "in orario d’ufficio, a volte anche in presenza di altre persone".
Quindi chi si immaginava un maggiordomo aggirarsi furtivamente tra le stanze vaticane, complice la solitudine e magari la penombra, sbagliava scenario: la fiducia riposta nei suoi confronti all'interno della famiglia vaticana era tale che poteva muoversi liberamente e senza destare sospetti.
Sino alla lettura del libro "Sua Santità" contenente quel materiale circolato tra poche mani: "ho rilevato nel libro di Nuzzi dei documenti che non erano circolati nei dicasteri della Santa Sede e sui quali avevo solo riferito verbalmente al Santo Padre" si legge nella deposizione di monsignor Georg Gänswein, segretario del papa. "In particolare, si trattava di una lettera del giornalista Vespa, di una lettera del direttore di una banca del nord e della stampa di una e-mail inviatami dal padre Lombardi relativa al caso Orlandi".
Dalla sottrazione alla diffusione del materiale il passo è breve e così ecco l'incontro tra Gabriele, Maria con lo pseudonimo utilizzato da Nuzzi, e lo stesso giornalista il quale nella trasmissione "Gli intoccabili" che conduceva su La7 aveva dimostrato grande interesse a parlare degli "scandali" vaticani, avendo peraltro già attaccata al collo la chiavetta con i documenti passatigli dal maggiordomo infedele.
"Questo incontro che è avvenuto a ottobre o forse a novembre 2011 - racconta Gabriele ricostruendo il primo colloquio con il giornalista -, è durato poco tempo anche perché, sapendo di rischiare, temevo di poter essere riconosciuto da qualcuno. Avendogli detto che non volevo avere contatti telefonici anche per timore dei controlli su di essi, il Nuzzi, mi ha invitato per un successivo incontro a casa sua". Risale a quel giorno la prima intervista video nella quale "vennero prese tutte le precauzioni necessarie affinché io non venissi riconosciuto. Anzi cercò di tranquillizzarmi e usò ulteriori camuffamenti per darmi una maggiore certezza al riguardo".
Nella sentenza depositata si trova anche l'aspetto della imputabilità riguardo alla quale "non configura un disturbo di mente tale da abolire la coscienza e la libertà dei propri atti" ma la presenza di "marcati elementi di tipo persecutorio" e "un pensiero solo superficialmente complesso ma in verità piuttosto semplificato".
Quanto poi alla presenza di complici, i giudici affermano che "è senz’altro da escludere, dalle risultanze processuali, un concorso vero e proprio", in linea con le affermazioni di Gabriele che ha però parlato di persone che lo avrebbero suggestionato.
A questo riguardo si precisa come il termine suggestione non abbia una "valenza oggettiva", ovvero una concreta induzione all’azione criminosa da parte di qualcuno, quanto "soggettiva" nel senso che Gabriele, sulla base dei suoi contatti quotidiani e sulle relative informazioni in merito all'ambiente, avrebbe alimentato la volontà di fare qualcosa a difesa del papa e della Chiesa.
Adesso il processo prosegue con l'udienza, fissata per il prossimo 5 novembre, che vedrà in aula Claudio Sciarpelletti il tecnico informatico della Segreteria di Stato accusato di favoreggiamento, mentre "ulteriori indagini sono in corso circa la sussistenza di altre eventuali responsabilità nella fuga di documenti riservati".
Quanto all'utilizzo di quei documenti - oggetto di furto e utilizzati nella piena consapevolezza della loro illecita provenienza - il dibattito se si possa configurare o meno il reato di ricettazione sembra essersi arenato. Ma per questo aspetto si dovrebbe approdare sulla sponda italiana e sappiamo che qui, in ogni modo, la gestione della giustizia è tutt'altra storia.  

 
( da http://raivaticano.blog.rai.it/2012/10/23/ecco-la-sentenza-che-condanna-gabriele/)
 

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