martedì 24 gennaio 2023

SIAMO CIÒ CHE COMUNICHIAMO

Il cuore, la verità e l’amore. È una comunicazione della gentilezza quella al centro del messaggio di papa Francesco per la 57ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - che si celebrerà il prossimo 21 maggio - sul tema “Parlare col cuore. Secondo verità nella carità” (Ef 4,15), reso noto oggi, nella memoria liturgica di san Francesco di Sales patrono dei giornalisti. 
Un documento che rappresenta un accorato appello ad essere quello che dovremmo, specialmente noi giornalisti, a recuperare una dinamica informativa che risponda ai criteri propri di una missione improntata alla ricerca e diffusione del bene.

Il messaggio investe non solo il mondo del giornalismo ma anche quello della comunicazione, la sfera relazionale, tanto più che con la pervasività dei social network - e annesse dinamiche - si sono ampliate a dismisura le potenzialità tecnologiche per farsi ascoltare e leggere. Per dire quello che si pensa. Per imporre anche stili e linguaggi, non sempre orientati alla verità e alla carità.

Le parole del Papa sono un appello e forse un tentativo per sensibilizzare un necessario cambiamento di rotta, invertendo la tendenza in atto che mostra  un oggettivo scadimento delle dinamiche dell’informazione, sempre più ostaggio di una certa spettacolarizzazione, partigianeria e velocità che impedisce alla comunicazione di vestirsi del necessario approfondimento, capace di offrire agli utenti gli elementi necessari per valutare a fondo i fatti. 

Dinanzi a un evidente analfabetismo di ritorno della professione, che spazza via le buone e tradizionali pratiche a favore di una comunicazione/informazione che sta troppo spesso alla superficie degli eventi, papa Francesco ricorda come, dopo aver riflettuto negli anni scorsi sui verbi andare, vedere e ascoltare, sia ora il momento di “parlare con il cuore”. Un passaggio che richiede un buon allenamento all’ascolto, all’attesa e alla pazienza, “la rinuncia ad affermare in modo pregiudiziale il nostro punto di vista” per entrare nello spazio del dialogo e della condivisione, laddove si può sperimentare il parlare seguendo la verità nell’amore. 

Al centro della missione del comunicatore non sta lo sterile scoop bensì il “cuore che vede”, scrive Francesco citando Benedetto XVI.
“Solo ascoltando e parlando con il cuore puro - si legge nel Messaggio - possiamo vedere oltre l’apparenza e superare il rumore indistinto che, anche nel campo dell’informazione, non ci aiuta a discernere nella complessità del mondo in cui viviamo. L’appello a parlare con il cuore interpella radicalmente il nostro tempo, così propenso all’indifferenza e all’indignazione, a volte anche sulla base della disinformazione, che falsifica e strumentalizza la verità”.

In un’epoca in cui come giornalisti abbiamo tanti strumenti a disposizione, dove tutto è incredibilmente semplificato dalla tecnologia, proprio da qui bisogna ripartire per percorrere altre strade, per raggiungere mete che conducano all’essenza della professione, mettendoci in cammino con un semplice bagaglio, quello della gentilezza

Ripartendo da qui, sottolinea papa Francesco, possiamo adoperarci “perché la comunicazione non fomenti un livore che esaspera, genera rabbia e porta allo scontro, ma aiuti le persone a riflettere pacatamente, a decifrare, con spirito critico e sempre rispettoso, la realtà in cui vivono”.

Recuperare il valore missionario della professione è condizione indispensabile per contribuire a far crescere la ricerca del vero, del buono e del bello, diffondendo gli strumenti adeguati per un sano discernimento della realtà. Una strada ce la indica proprio san Francesco di Sales, di cui quest’anno ricorre il centenario della sua proclamazione a patrono dei giornalisti, ricordandoci che “il cuore parla al cuore” e che “siamo ciò che comunichiamo”. 

“Lezione oggi controcorrente in un tempo nel quale - sottolinea papa Francesco - come sperimentiamo in particolare nei social network, la comunicazione viene sovente strumentalizzata affinché il mondo ci veda come noi desidereremmo essere e non per quello che siamo”.

L’espressione “siamo ciò che comunichiamo” del santo patrono ci carica così di un’enorme responsabilità, ovvero quella di riportare verità e carità nel “moderno areopago”, come Giovanni Paolo II definiva il mondo dei media, dall’ambiente a noi più prossimo ai social, dalle cronache nelle quali siamo impegnati ogni giorno sino alla narrazione di grandi eventi attorno ai quali si giocano le sorti dell’umanità, come la guerra in corso in Europa ma sempre più dai confini mondiali. Un dramma che non può essere raccontato abbassando la comunicazione alle dinamiche belliche, alle manipolazioni delle ragioni di stato, all’indifferenza sospinta dall’abitudine, ma che deve essere riportato al cuore, per una rilettura capace di seguire finalmente le logiche dell’amore, le uniche valide per la ricerca della pace


Nessun commento:

Posta un commento