lunedì 9 marzo 2020

NON BUONISMO MA SPAZIO AL BELLO

Le nostre tastiere sono divenute pistole fumanti in mano a "giustizieri" pronti a colpire tutto quanto non corrisponde ai propri canoni di pensiero.
Il dialogo sui social è sempre più difficoltoso, anteponendo frasi lapidarie e senza appello a qualsiasi ragionamento, rinnegando la volontà e l'opportunità di approfondire il pensiero altrui che magari ripone, tra le sue pieghe, anche delle preziose verità.Ma ha senso porsi sempre in contrapposizione, attraverso critiche che niente hanno di costruttivo e di dialogico? Non sarebbe più proficuo concentrarsi su quanto esprime "bellezza"?

A fine febbraio abbiamo assistito al saluto della Rai a uno dei suoi uomini più preziosi, andato in pensione dopo aver contribuito alla storia del servizio pubblico: Vincenzo Mollica, giornalista, scrittore, autore, grande e sensibile narratore del mondo artistico, soprattutto musicale.
Oltre all'esempio professionale, dimostrando come formazione e cultura facciano davvero la differenza, Mollica è stato ed è anche un grande testimone di stile.

Pur riconoscendo la sua immensa preparazione, mi sono però sempre chiesta se quell'abbondanza di aggettivi positivi per l'artista di turno non fosse sproporzionato, se un tocco critico non dovesse in qualche modo manifestarsi. Anche se rapita dalla sua ricchezza linguistica e da quello stile avvolgente, cercavo spesso di cogliere qualche giudizio più severo sul protagonista delle sue cronache.
Poi, una volta, lui stesso ha spiegato il perché di questo stile apparentemente buonista, da qualcuno etichettato come "mollichismo".
Vincenzo Mollica compiva una cernita a monte, decidendo di raccontare solo quegli artisti e lavori che valevano davvero la pena. Insomma, preferiva ignorare quelli che non riteneva meritevoli, senza stroncarli ma lasciandoli indenni da un giudizio che, peraltro, avrebbe avuto un peso pari all'autorevolezza di chi lo esprimeva.

Ecco, questo potrebbe essere un prezioso insegnamento per tutti noi - giornalisti o critici, di professione, di aspirazione o di presunzione - sempre pronti a una operazione opposta: scartare il bello per azzannare quello che non condividiamo.
Si tratterebbe di una rivoluzione comunicativa - e prima ancora culturale-comportamentale - non da poco, atta davvero a portare in superficie quanto di bello c'è in ogni campo, rinnovando positivamente le proprie energie, intingendo le nostre penne nella tavolozza di quei toni che possono concorrere a migliorare la nostra conoscenza, il nostro umore, la nostra quotidianità.

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