L'infelice titolo de Il Resto del Carlino, sulle tiratrici con
l'arco "in carne", rischia di chiudersi con la punizione esemplare inferta
al direttore, mettendo però in secondo piano il vero problema che ha portato a
galla, ovvero la proliferazione di un giornalismo che non sa più reggersi sulle
basi del buonsenso, del rispetto e dell'eleganza.
Il quotidiano bolognese, come noto, ha pubblicato un
resoconto sulla gara femminile del tiro con l'arco a Rio de Janeiro,
sintetizzando così: "Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo
olimpico".
Quanto è bastato per sollevare un unanime coro di sdegno che,
alla fine, sta gridando così tanto da stordire la capacità di andare oltre quel
titolo.
A poche ore dall'uscita del quotidiano, il presidente della Federazione italiana del tiro con l'arco, Mario Scarzella, ha scritto una formale lettera di protesta, l'onda dei social network è montata con la velocità di uno tsunami e, dinanzi a questo diffuso risentimento, il direttore della testata Giuseppe Tassi, benché si fosse pubblicamente scusato, ci ha lasciato la poltrona.
Un modo assai sbrigativo da parte dell'editore, per chiudere
una vicenda biasimevole che non è fine a se stessa ma nasconde tanti problemi
interni al mondo dell'informazione, a partire dall'incapacità di informare
senza ricorrere al sensazionalismo, a un linguaggio e a immagini propri di un
giornalismo becero, guardone e limitato all'esteriorità.
Qualcuno è ricorso alle questioni di genere e all'esito
negativo della prova delle tre atlete, ma credo che non sarebbe cambiato
qualcosa in caso di vittoria. Nella estrema sintesi e nella sterile ricerca di
elementi utili alla spettacolarizzazione, il titolista e il direttore (in
quanto responsabile di ciò che viene pubblicato), sono caduti sulla buccia di
una preoccupante superficialità. Una mancanza che non può permettersi un
professionista che svolge questo mestiere, al quale - mi si perdoni il
romanticismo - attribuisco ancora un ruolo di informazione e non di
spettacolarizzazione, quindi educativo, di crescita e di rispetto verso tutte
le peculiarità e "differenze".
La testata ha deciso di dare un taglio netto al problema,
facendo "saltare il direttore", ma anche i più intransigenti non
possono accontentarsi di una soluzione che risulta essere - nel complesso mondo
dei media - solo un isolato palliativo, trattandosi piuttosto di un diffuso limite
culturale.
Il vero problema, infatti, è che siamo immersi sino al collo
in un sistema informativo in rapida degenerazione, dal quale riusciamo a
malapena a mettere fuori la testa, per prendere qua e là, qualche rara boccata
di sana informazione.
Dinanzi a un panorama a tinte fosche, consapevoli che sembra
impossibile risalire la china della professionalità, rischiamo persino di
divenire tolleranti verso certe sbavature e ci chiediamo se non sia eccessivo
il provvedimento - non per una volontà di protezione verso il direttore
"dietologo" - bensì spinti da quanto di peggio vediamo quotidianamente
sui giornali, in tv, sul web.
In altre parole - si chiede qualcuno - se si mette in strada
un direttore che chiama "cicciottelle" delle atlete, cosa dovremmo
fare a coloro che sbattono presunti mostri in prima pagina, che si rendono fiancheggiatori
di un sistema corrotto, che gettano la verità nel cestino per assecondare i
potenti di turno, che non garantiscono la tutela dei minori e dei soggetti
deboli?
Ovviamente questi comportamenti sono assai più gravi di un
titolo nato male e partorito da menti che hanno ceduto alla corsa al ribasso
dell'informazione, rinnegando quei principi deontologici che dovrebbero
ispirare ogni virgola e, al contempo, infangando l'impegno di chi crede ancora
in questa straordinaria professione.
Ma non ci possiamo permettere di guardare sempre al peggio:
finiremmo per giustificare e trovare ogni volta un'attenuante a quei
comportamenti che, in ogni modo, stanno concorrendo a denigrare la credibilità
della professione.
Cerchiamo allora di mantenere ferma la nostra capacità di
indignarci - operatori dei media e fruitori - di non abbassare mai l'asticella
della tolleranza, pensando che "c'è anche di peggio!".
Tutto ciò
permetterà di dettare, per quanto possibile, delle regole personali, morali e alla
lunga di mercato, isolando i cattivi esempi.
Non fermiamoci al simpatico e dilagante slogan circolato sui
social del "Je suis cicciottell" ma cerchiamo di tracciare nelle
nostre bacheche, nelle nostre letture quotidiane, nel tempo dedicato
all'informazione, una mappa che ci faccia percorrere i sentieri dell'informazione
seria e professionale.
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