giovedì 6 novembre 2014

Che "diluvione" sia! Quando l'allerta meteo diventa una questione sociale...

Non è buona cosa augurarsi un nubifragio, un'alluvione, un diluvio eppure in queste ore di allerta con codice rosso per la città di Roma e zone limitrofe, il senso civico porta a sperare che le autorità debbano avere ragione.
Non per un malcelato masochismo ma per continuare a credere nella parola dell'autorità, nelle previsioni meteo, in un sistema di tutela del cittadino che, dovrebbe in realtà essere più basato sulla formazione a una cultura dell'emergenza piuttosto che a raccogliere le emergenze lanciate a piene mani .

Le 36 ore di allerta sono al momento in parte erose da una pioggia che scende da un cielo grigio, tipico del periodo autunnale.
Eppure il prefetto è andato giù deciso: scuole chiuse e attivazione di un sistema di emergenza per fronteggiare una situazione dichiarata "senza precedenti".
Le parole, seppur ogni giorno utilizzate e sprecate a bizzeffe da un sistema informativo che - quello sì - fa acqua da tutte le parti, hanno un peso e quindi viene da chiedersi se effettivamente questa dichiarazione della straordinarietà dell'evento sia stata ben soppesata.

Una situazione senza precedenti di pioggia si può dichiarare per le regioni sahariane ma per una città come Roma è opportuno? Possibile che siamo sulla soglia di un evento catastrofico? Se le parole sono dettate dalla situazione di prevedibile disagio provocato da eventuali intense piogge, allora a Roma possiamo dichiarare lo stato di emergenza ogni tre per due: strade come torrenti, fognature che non ricevono acqua, stazioni della metro che si allagano, sottopassi impraticabili. Ma tutto ciò avviene con una evidente frequenza e quindi oggi bisogna attendersi di peggio?
Il cielo, in questa prima parte della giornata, sembrerebbe dire di no e anzi potrebbe invogliare a uscire anche chi ha preso e ha potuto prendere quelle raccomandazioni alla lettera, magari approfittando per scorazzare in un centro città privo di varchi ztl.

Ma se così dovessero sfumare le 36 ore di allerta, la fiducia nelle istituzioni dove andrebbe a finire?
E soprattutto, non sarebbe opportuno cominciare a lavorare concretamente sulla cultura dell'autotutela del cittadino? Una formazione, ai rischi del territorio e ai comportamenti concreti da attuare, da diffondere non nel momento dell'emergenza ma in tempo di "pace". Un sistema di responsabilizzazione che chiamerebbe in causa tutti: istituzioni, cittadini, mezzi di informazione. Un sistema che richiederebbe serietà e aderenza alla verità, senza affondare nelle situazioni di allarme per fare notizia e senza piegare la realtà ai propri interessi, come faceva stamani qualche giornalista che parlava di pioggia insistente mentre le telecamere mostravano una modesta pioggerellina, una normale pioggia da novembre e non da evento straordinario.

Ecco che il senso civico e la consapevolezza di quanto sarebbe importante poter credere alle parole dell'autorità, portano a gettare complici sguardi a questo innocuo cielo grigio, sperando di scorgere qualche nuvolone minaccioso, i lampi e di udire il fragore di potenti tuoni, sino a vedere scaricare sulla città non dico un nubifragio ma qualcosa che sia lontanamente parente di una calamità naturale, di un evento straordinario,  non so, una "diluvione" come possibile neologismo per indicare un qualcosa di indefinibile che potrebbe avvenire, forse sì, forse no. 



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