Abbiamo
vissuto un'estate meteorologicamente non calda ma bollente sul piano degli
scenari internazionali e delle possibili ripercussioni sul nostro Paese così
come sulle nostre certezze.
La
preoccupazione principale è stata, o avrebbe dovuto essere, quella delle
violenze e delle minacce all'Occidente e, più in generale alla libertà, da
parte dell'Isis, lo Stato islamico dell'Iraq e della Siria.
Un
manipolo di guerriglieri jihadisti invasati che, in nome di un Dio così lontano
dalla violenza, stanno cercando di imporre il loro potere con una inaudita
crudeltà. Minacciando, uccidendo, perseguitando, cacciando dalle loro case,
violentando le donne, prendendo in ostaggio i bambini e commettendo le peggiori
crudeltà contro i cristiani, le minoranze religiose e, in senso lato, gli "infedeli".
Una
guerra impari contro chi brandisce coltelli e sgozza, in video intimidatori,
giornalisti che hanno come unica colpa l'appartenenza territoriale a Paesi
civili che non possono tollerare simili nefandezze.
La
preoccupazione per questo fenomeno si è ben presto proiettata sul mondo
occidentale, per più motivi: il ricordo degli attentati di nove anni fa nella
metropolitana di Londra per mano di musulmani-inglesi; l'allontanamento di un
considerevole numero di giovani, compreso qualcuno residente in Italia,
verosimilmente arruolati in questa guerra; l'elevazione della soglia di
attenzione per il nostro Paese e per Roma in primis, centro fortemente
simbolico per la cristianità; il crescente dubbio che anche le nostre città
potrebbero mettere a nudo una mancata e piena integrazione - al di là dei
documenti in regola e di una apparente vita normale - di tanti musulmani che, a
quanto pare complici anche i social network, stanno avvertendo il richiamo di
un jihadismo che poteva sembrare lontano dalle loro vite.
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Ecco
che tutte queste vicende richiamano alla mente le istanze di rimozione, da
scuole e luoghi pubblici, del crocifisso, simbolo emblematico del
cristianesimo, in virtù di un rispetto per chi professa altre religioni o non è
credente.
Un'antica
tradizione propria dei Paesi a maggioranza cristiana che viene messa in discussione
in nome della laicità dello Stato e di una corsa a mostrare aperture verso i
diversamente credenti.
Non
è però un caso che esistano zone refrattarie a certi ragionamenti ma dove la
testimonianza della fede è un elemento ricorrente.
Basti
pensare all'Alto Adige e alle numerose immagini sacre disseminate sul
territorio. Strade e sentieri, sino alle alte cime, sono cadenzati da piccole
cappelle e dalle caratteristiche edicole in legno al cui interno si trovano
crocifissi, espressione di una fede alimentata quotidianamente.
Lo
stesso dicasi per le abitazioni private che senza tanti tentennamenti ma, anzi,
con una benefica ostentazione, ospitano sulle loro facciate immagini sacre o
crocifissi.
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Non
credo che in quelle zone siano tutti credenti e non mi risulta che, turisti o
gente estranea a quelle comunità, abbiano mai fatto pressioni sulle autorità
locali, disturbati da quelle frequenti testimonianze di fede.
Anzi,
proprio queste sembrano essere il fulcro rispettabile della comunità, uno dei
simboli che connotano un'appartenenza culturale.
Viene
allora da chiedersi se quello che è venuto a mancare in maniera diffusa e in
crescenti aree del nostro Paese, non sia invece un deficit di identità, con la
conseguente tentazione di barattare tutto quello cui non riusciamo più a dare
un valore, neppure simbolico.
Moschee
e chiese possono anche convivere laddove rimanga comunque ferma l'identità
storica di un popolo, capace di tutelare i segni di un passato che ha comunque
reso possibile l'oggi, proprio con tante libertà.
Talvolta
sembra che la situazioni sia sfuggita di mano e che si sia finiti per
combattere se stessi, come nel vortice di una malattia autoimmune.
Tutto
questo rischia di generare confusione e, per certi versi, persino di alimentare
la pericolosa controparte di un razzismo che non deve avere ragione di essere
in un Paese evoluto ma che, piuttosto, deve lavorare a una reale integrazione, preservando
le proprie ricchezze culturali.
Il
problema sta, semmai, nel ritrovare il giusto bilanciamento tra la nostra
identità e quella di coloro che stanno sempre più popolando il Paese, in una
accoglienza che esiga innanzitutto il rispetto delle leggi e una giustizia vera
per chi trasgredisce o punta a sovvertire la storia.
Riscoprendo
innanzitutto il baricentro della nostra identità, potremmo riprendere le redini
di un carro che sembra incamminato su una strada insidiosa, dissestata da tante
incertezze.
Articolo pubblicato da LPL News24
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