domenica 3 marzo 2013

BENEDETTO XVI E IL PONTIFICATO DEI CONFRONTI



I confronti sono sempre poco simpatici eppure papa Benedetto XVI si è trovato a condurre un pontificato sottoposto al puntuale raffronto con il predecessore.
Si è cominciato con il saluto ai fedeli dalla loggia delle benedizioni quel 19 aprile del 2005. 
Il neo eletto Giovanni Paolo II, quasi ventisette anni prima, dette un'inattesa spallata al cerimoniale non limitandosi alla benedizione ma tenendo quel discorso entrato nella storia, nel quale si coniugava la novità di quella elezione con le sue straordinarie doti comunicative.

Joseph Ratzinger da parte sua, nella veste di 265° pontefice, aveva rivolto il suo saluto alla piazza gremita ma evidentemente non con la stessa naturalezza e loquacità del predecessore. Anzi piuttosto impacciato per il palese imbarazzo dinanzi a quella folla, radunata per conoscere il nuovo papa.
E già da lì si cominciò a paragonare i due successori di Pietro: da una parte lo spontaneo ed eclettico Giovanni Paolo II, dall'altro il freddo e intellettuale teologo.
Da una parte il papa polacco espansivo, sempre pronto a condividere lo stesso spazio comunicativo con la gente (sia che si traducesse in contatto fisico, sia in scambi corali, sia ancora in una generale complicità), dall'altra il pontefice tedesco che non aveva le stesse qualità caratteriali del predecessore.
Qualità caratteriali, appunto, e già questo avrebbe dovuto frenare i paragoni, nell'evidente constatazione che le personali peculiarità sono un qualcosa di assolutamente individuale.
E invece ogni occasione arrivava puntuale per innescare un paragone con papa Wojtyla: l'atteggiamento dinanzi ai bambini, il modo di salutare i fedeli, il rapporto con i giovani, l'approccio con le folle oceaniche.
Un cattivo servizio che una parte dell'informazione ha reso al diritto a una conoscenza piena dei fatti, andando invece ad alimentare quell'angusto circuito di giudizio basato sull'immagine.
Nell'era della comunicazione veloce, dei messaggi sempre più "short", della semplificazione che azzoppa il concetto, Benedetto XVI è stato spesso raccontato nella sua timidezza barattata per freddezza. A differenza di Giovanni Paolo II, si rimarcava puntualmente…
E siamo arrivati alla fine del suo pontificato, con quella decisione che rappresenta una novità per la storia della Chiesa nonostante il precedente di Celestino V ma si parla in quel caso del 1294, quindi un'epoca non comparabile con l'oggi.
Ancora una volta, contestualmente alle interpretazioni a carattere storico, di diritto canonico, teologico, si sono volute affiancare immediatamente le figure dei due pontefici: da una parte papa Wojtyla che ha condotto sino in fondo il suo pontificato, sprofondato nella sofferenza della malattia, morendo quasi dinanzi alle telecamere e al mondo, dall'altra papa Ratzinger che ha deciso di rinunciare al ministero petrino.
Forse già il termine "rinuncia" trasmette l'impressione di un tirarsi indietro, mentre in questo caso siamo dinanzi a una scelta che appare non di debolezza quanto di coraggio, di sofferto coraggio, anteponendo il bene della Chiesa alla propria persona, sottoponendosi a tutte quelle critiche che sono immediatamente arrivate, assieme al prevedibile e puntuale raffronto con il predecessore.
Ci vorrà tempo perché questa rivoluzionaria decisione di Benedetto XVI sia interiorizzata e compresa, scavalcando analogie e differenze tra i pontificati per andare all'essenza della scelta.
Eppure c'è chi, tra i commentatori della fine del pontificato, continua a ricondurre la rinuncia del papa a quel suo modo di essere diverso dal predecessore, all'evidente differenza nel "tenere la scena" nei grandi raduni internazionali e che avrebbe persino costituito un elemento di prevedibilità nella sua scelta.
Forse è bene ricordare che la capacità di dominare le folle non può essere un attendibile criterio di giudizio su un successore di Pietro, fermo restando il valore aggiunto insito nella dote di creare empatia con la gente.
Ha perfettamente ragione padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, quando parla dello stesso coraggio in papa Wojtyla e in papa Ratzinger: "ambedue ci hanno insegnato, non solo con il magistero, ma anche e forse ancor più efficacemente con la vita, che cosa vuol dire cercare e trovare ogni giorno la volontà di Dio per noi e per il nostro servizio, anche nelle situazioni più cruciali dell'esistenza umana".
Così di Giovanni Paolo II conserveremo quell'immagine angosciante alla finestra del Palazzo Apostolico, nell'ultimo vano tentativo di parlare al mondo.
Di Benedetto XVI l'apparizione dal balcone della residenza di Castel Gandolfo, forse l'ultima che avremo di lui, "pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra".
In settimana conosceremo la data di inizio del conclave dal quale uscirà il nuovo papa. Chissà se anche lui sarà sottoposto al paragone con i suoi predecessori. Chissà se impareremo, finalmente, ad andare oltre le apparenze per cogliere un messaggio che non sia ostaggio dell'immagine. 

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