I
confronti sono sempre poco simpatici eppure papa Benedetto XVI si è trovato a condurre
un pontificato sottoposto al puntuale raffronto con il predecessore.
Si
è cominciato con il saluto ai fedeli dalla loggia delle benedizioni quel 19 aprile del 2005.
Il neo eletto Giovanni Paolo II, quasi
ventisette anni prima, dette un'inattesa spallata al cerimoniale non
limitandosi alla benedizione ma tenendo quel discorso entrato nella storia, nel
quale si coniugava la novità di quella elezione con le sue straordinarie doti comunicative.
E
già da lì si cominciò a paragonare i due successori di Pietro: da una parte lo
spontaneo ed eclettico Giovanni Paolo II, dall'altro il freddo e intellettuale teologo.
Da
una parte il papa polacco espansivo, sempre pronto a condividere lo stesso spazio
comunicativo con la gente (sia che si traducesse in contatto fisico, sia in
scambi corali, sia ancora in una generale complicità), dall'altra il pontefice tedesco
che non aveva le stesse qualità caratteriali del predecessore.
Qualità
caratteriali, appunto, e già questo avrebbe dovuto frenare i paragoni,
nell'evidente constatazione che le personali peculiarità sono un qualcosa di assolutamente
individuale.
E
invece ogni occasione arrivava puntuale per innescare un paragone con papa
Wojtyla: l'atteggiamento dinanzi ai bambini, il modo di salutare i fedeli, il
rapporto con i giovani, l'approccio con le folle oceaniche.
Un
cattivo servizio che una parte dell'informazione ha reso al diritto a una
conoscenza piena dei fatti, andando invece ad alimentare quell'angusto circuito
di giudizio basato sull'immagine.
Nell'era
della comunicazione veloce, dei messaggi sempre più "short", della
semplificazione che azzoppa il concetto, Benedetto XVI è stato spesso
raccontato nella sua timidezza barattata per freddezza. A differenza di
Giovanni Paolo II, si rimarcava puntualmente…
E
siamo arrivati alla fine del suo pontificato, con quella decisione che
rappresenta una novità per la storia della Chiesa nonostante il precedente di
Celestino V ma si parla in quel caso del 1294, quindi un'epoca non comparabile
con l'oggi.
Ancora
una volta, contestualmente alle interpretazioni a carattere storico, di diritto
canonico, teologico, si sono volute affiancare immediatamente le figure dei due
pontefici: da una parte papa Wojtyla che ha condotto sino in fondo il suo
pontificato, sprofondato nella sofferenza della malattia, morendo quasi dinanzi
alle telecamere e al mondo, dall'altra papa Ratzinger che ha deciso di rinunciare
al ministero petrino.
Forse
già il termine "rinuncia" trasmette l'impressione di un tirarsi
indietro, mentre in questo caso siamo dinanzi a una scelta che appare non di
debolezza quanto di coraggio, di sofferto coraggio, anteponendo il bene della
Chiesa alla propria persona, sottoponendosi a tutte quelle critiche che sono
immediatamente arrivate, assieme al prevedibile e puntuale raffronto con il
predecessore.
Ci
vorrà tempo perché questa rivoluzionaria decisione di Benedetto XVI sia interiorizzata
e compresa, scavalcando analogie e differenze tra i pontificati per andare all'essenza
della scelta.
Eppure
c'è chi, tra i commentatori della fine del pontificato, continua a ricondurre
la rinuncia del papa a quel suo modo di essere diverso dal predecessore,
all'evidente differenza nel "tenere la scena" nei grandi raduni
internazionali e che avrebbe persino costituito un elemento di prevedibilità nella
sua scelta.
Forse
è bene ricordare che la capacità di dominare le folle non può essere un
attendibile criterio di giudizio su un successore di Pietro, fermo restando il
valore aggiunto insito nella dote di creare empatia con la gente.
Ha
perfettamente ragione padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa
vaticana, quando parla dello stesso coraggio in papa Wojtyla e in papa
Ratzinger: "ambedue ci hanno insegnato, non solo con il magistero, ma
anche e forse ancor più efficacemente con la vita, che cosa vuol dire cercare e
trovare ogni giorno la volontà di Dio per noi e per il nostro servizio, anche
nelle situazioni più cruciali dell'esistenza umana".
Così
di Giovanni Paolo II conserveremo quell'immagine angosciante alla finestra del
Palazzo Apostolico, nell'ultimo vano tentativo di parlare al mondo.
Di
Benedetto XVI l'apparizione dal balcone della residenza di Castel Gandolfo,
forse l'ultima che avremo di lui, "pellegrino che inizia l’ultima tappa
del suo pellegrinaggio in questa terra".
In
settimana conosceremo la data di inizio del conclave dal quale uscirà il nuovo
papa. Chissà se anche lui sarà sottoposto al paragone con i suoi predecessori. Chissà se impareremo, finalmente, ad andare oltre le apparenze per cogliere un
messaggio che non sia ostaggio dell'immagine.
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