L'immaginazione,
il coraggio di coltivare la propria identità e di condividere la propria fede
come presupposti per un risveglio del Cristianesimo in occidente. Parola di
padre Timothy Radcliffe, il teologo domenicano apprezzato in tutto il mondo per
la sua capacità di analisi sulla Chiesa e la società contemporanea.
L'anno
della fede, aperto il mese scorso da papa Benedetto XVI, così come il Sinodo
dei vescovi, concluso pochi giorni fa, offrono numerosi spunti di riflessione e
indicazioni sulla direzione di marcia della Chiesa, nella sua accezione più
ampia di comunità dei credenti.
Una
delle sfide principali è senza dubbio quella attorno cui è stata indetta
l'assemblea generale ordinaria dei vescovi di tutto il mondo, ovvero la nuova
evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, intesa nel senso di
primo annuncio ma anche di nuova, ripetuta evangelizzazione.
Un'esigenza
dettata da più fattori: in primis la diffusa secolarizzazione che sta calando
un velo di oblio sul messaggio cristiano nelle aree tradizionalmente legate
alla fede in Cristo e assieme i crescenti flussi migratori che vedono una
progressiva modificazione delle componenti anche religiose nelle nostre città.
Se
gli stessi padri sinodali hanno individuato alcune azioni per una nuova ed
efficace evangelizzazione, i temi di riflessione rimangono numerosi, offerti da
quei teologi che hanno uno sguardo particolarmente attento e sensibile sulla
società di oggi.
Tra
questi, appunto, padre Timothy Radcliffe, maestro generale dell'Ordine
domenicano dal 1992 al 2001, docente di Sacra Scrittura all'Università di
Oxford e apprezzato studioso della Chiesa e della società contemporanea.
Padre
Radcliffe nei giorni scorsi era a Roma per partecipare all'inaugurazione del 109°
anno accademico della Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura"
Seraphicum, retta dall'Ordine dei Frati minori conventuali.
Il
teologo inglese ha tenuto una prolusione sul tema "Come la nostra fede può
toccare l'immaginazione dei nostri contemporanei", accogliendo così
l'invito rivolto dal preside Padre Domenico Paoletti per inaugurare un anno
accademico coincidente con l'Anno della fede e in continuità con un percorso di
analisi e approfondimento sulla metodologia teologica avviato dalla Facoltà.
"È la
passione sincera della fede che fa la differenza nella ricerca e nella
comunicazione-testimonianza in un'epoca di profonda crisi e trasformazione del
credere e del vivere", ha sottolineato il preside Paoletti, inquadrando il
tema nell'attuale contesto. "Possiamo dire che la fede o c'è o non c'è
niente. La fede viva cerca di capire e una fede che cerca di capire vive".
Dunque
come essere efficaci oggi, come arrivare dritti al cuore dei contemporanei?
Innanzitutto
coinvolgendo l'immaginazione, raccomanda Radcliffe: "non credo che
l'ateismo ci offra tanto una sfida intellettuale, quanto piuttosto una
sull'immaginazione. Come possiamo condividere una immaginazione cristiana? Ciò
che è in gioco è precisamente la sapienza. La scienza ci offre conoscenza, che deve
essere valutata secondo le basi della scienza. Invece fede e filosofia cercano
la sapienza".
Un
ragionamento che passa da uno dei più bei film degli ultimi anni, "Uomini
di Dio" sulla vita e la morte di sette monaci trappisti rapiti e uccisi,
nel 1996 in Algeria, da un gruppo di terroristi islamici.
Un
film che riesce a coinvolgere e ad arrivare all'immaginazione parlando di
"gente particolare che è vissuta in una comunità particolare", un
film che "ci commuove perché qui - ha sottolineato il teologo domenicano -
sentiamo la vicinanza di Dio anche se è apparentemente assente".
Dunque
il particolare come chiave di accesso all'universale: "il Cristianesimo è
strano e contro-culturale perché vediamo il significato universale incarnato in
particolari, limitati, uomini mortali che vivono assieme".
Da
questa capacità di essere se stessi, rifuggendo da una generale omologazione
oggi fortemente marcata, si comprende l'importanza dei santi, "persone che
hanno corso il rischio di diventare la persona unica che Dio ha creato".
Una coerenza giocata sulla propria unicità e individualità, tanto che "il
santo è qualcuno che si permette di essere se stesso".
Messaggio
assai pregnante in una società che punta alla massificazione di pensieri e
comportamenti, conducendo a sacrificare la propria individualità e personalità,
sposando atteggiamenti e mode rassicuranti, quasi come un passepartout per garantirsi
un sicuro gradimento.
E
poi c'è la centralità della condivisione della fede che in questo modo
"diviene sempre nuova e fresca", "è come l'accensione successiva
di fuochi di segnalazione, uno accende l'altro, così la buona novella passa",
garantendo quindi anche esperienze e apporti individuali. E quanto sia
importante questa trasmissione creativa lo dimostra la capacità di Karol
Wojtyla di "arricchire l'immaginazione dei polacchi dando loro parole
belle: quando i polacchi poterono finalmente immaginare un mondo diverso, un
mondo radioso, allora quello noioso e squallido del comunismo semplicemente
crollò".
Ma
insomma come ricreare questa vicinanza con Dio? Evidentemente tornando a essere
se stessi, a guardarsi attorno, a individuare persone particolari.
"Solo
le persone particolari - ha concluso p. Radcliffe -, nella propria 'ipseità',
possono portarci vicino al Salvatore che si è fatto persona particolare. Questa
trasmissione immaginativa non accade se la consegniamo in un piatto. Ognuno
deve percorrere la sua strada, come hanno fatto quei monaci".
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