venerdì 24 gennaio 2014

La parabola del buon comunicatore

Nell'epoca delle continue innovazioni tecnologiche, degli strumenti che sembrano potersi sostituire in tutto all'uomo, della tentazione a delegare loro persino i rapporti interpersonali, papa Francesco ci ricorda che "la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica". Nel messaggio per la 48ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali dal titolo "Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro" (che sarà celebrata il 1° giugno), il papa richiama con decisione alla centralità dell'uomo.
Non è un freno alla corsa della tecnologia o una critica ai suoi prodotti ma un deciso invito a far salire su questa diligenza, talvolta in folle corsa, l'uomo così da renderlo cocchiere di questo appassionante viaggio.

Un messaggio che pone al centro la persona e che la invita a farsi artefice del proprio ruolo, a non divenire un semplice meccanismo del sistema di comunicazione ma un protagonista attento e prossimo agli altri. Un cittadino responsabile di quel "villaggio globale" che Giovanni Paolo II aveva mutuato da Marshall McLuhan, studioso delle comunicazioni di massa, utilizzando questa celebre definizione nella lettera enciclica Redemptoris Missio del 1990, nella quale scriveva che "il primo areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando l'umanità rendendola - come si suol dire - «un villaggio globale»". Un ossimoro per descrivere quel villaggio che ci abbraccia, ci avvicina e che sembra accomunarci ma che, in realtà, non va a sanare le tante e talvolta drammatiche disparità nelle condizioni di vita.
Quello che potrebbe sembrare il bluff dei mezzi di informazione, con un'immagine distorta e artefatta della realtà dalla quale stare alla larga o nutrire timori, può invece divenire strumento positivo per intervenire proprio su quella stessa realtà. 
Papa Francesco lo spiega chiaramente: "i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri, a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà". Ecco, dunque, l'uomo che prevale sul mezzo e che ne fa uno strumento efficace per sanare le disparità e per trasmettere quella tenerezza che significa essere presenti l'uno per l'altro. I media e internet possono così rappresentare un terreno comune sul quale costruire un dialogo come reciproco scambio, attraverso l'incontro e la solidarietà.
Ma per recuperare o costruire questo tipo di rapporto è necessario lavorare su se stessi, sui propri ritmi di vita, su una mentalità che sembra aver preso il sopravvento e che risulta imperniata sulla velocità, sul multitasking, sulla presenza perenne on line ma con una navigazione che rimane sulla superficie dei rapporti interpersonali.
Papa Bergoglio mette chiaramente in luce gli aspetti critici del sistema, individuandoli nella "velocità dell'informazione" che bypassa spesso una necessaria valutazione e un giudizio frutto di riflessione; una qualche propensione a "frequentare" solamente quelle idee e posizioni affini alle proprie, causando una sorta di disorientamento; il pericolo di isolarci da coloro che sono realmente vicini a noi.
Arrivando a una sorta di riscatto, alimentato da una crescita "in umanità e nella comprensione reciproca" e che impone - finalmente - di tornare a essere protagonisti della propria vita e dei suoi ritmi. Il primo antidoto è la riconquista di quel "senso di lentezza e di calma" che sembra invece resettato dai nuovi ambienti digitali e che consentirebbe una maggior padronanza delle proprie scelte, frutto di valutazioni attente, ponderate e critiche.
"Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare - scrive papa Francesco -. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta".
Un metodo che conduce a quella prossimità che significa misericordia e tenerezza e che, non a caso, papa Francesco riporta all'immagine del buon Samaritano che diviene anche la parabola del (buon) comunicatore.
"Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone - si legge nel messaggio - ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada, come leggiamo nella parabola" e "oggi noi corriamo il rischio che alcuni media ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro prossimo reale".
Quel prossimo reale che possiamo e dobbiamo incontrare concretamente, non solo nello sfiorarsi digitale delle connessioni 24h. 
"La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità - aggiunge Bergoglio- non una rete di fili ma di persone umane". Ed essere umani significa svestire qualsiasi tentazione da avatar, metterci la faccia reale, la parola, l'ascolto, il cuore, la testimonianza, per percorrere la rete vestiti della propria identità, rendendo le stanze virtuali sempre più luoghi veri di incontro, ascolto e solidarietà.
Prossimi nell'attenzione e nel farsi carico degli altri, scendendo da quel piedistallo dal quale, così spesso, si è soliti pontificare e sbattere in faccia agli altri le proprie verità assolute, arroganti e non negoziabili.

Un richiamo, dunque, a non temere di farsi cittadini dell'ambiente digitale, bensì ad essere partecipi di questo "villaggio globale" in quanto "la comunicazione concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e le reti sociali - conclude il papa - sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo".




Nessun commento:

Posta un commento