Le
logiche umane sono quelle che sono, viziate dall'atavica ricerca di un senso
altro, tanto da calpestare situazioni ovvie per puntare ai confini della
rivoluzione o della fantasia.
Non
si sottrae a questo destino il dibattito sul futuro ruolo della donna nella
Chiesa, meritatamente risollevato e con una giusta prospettiva, da Stefania
Falasca in un editoriale pubblicato sabato da Avvenire.
Parlare
di ipotesi che vanno a sfiorare lo statu
quo, tanto gelosamente conservato dalla componente maschile, fa scattare
una difesa lastricata di termini quali rivendicazione e rivoluzione, come se
fuori dalle porte curiali fossero assiepati eserciti di donne pronte a invadere
gli scranni da sempre ricoperti dagli uomini.
La
questione è ben più articolata e richiede, innanzitutto, proprio un chiarimento
sugli obiettivi di questo dibattito. Ferma restando la necessità di distinguo
all'interno del genere femminile - dove sono certamente presenti anche slanci
autoritari e desideri di potere -, il ragionamento avviato dalla collega
Falasca è ben più profondo, mettendo in risalto la maturazione dei tempi per
una svolta che potrebbe avvenire proprio sotto il pontificato di papa
Francesco. Ma che tipo di svolta?
Il
terreno, si sa, è minato da pregiudizi e arroccamenti su posizioni detenute da
sempre e alimentate con il combustibile della tradizione e di un maschilismo
spesso refrattario a qualsiasi confronto.
Non
è certamente più il tempo di un automatico incasellamento di ogni richiesta
femminile nel grande contenitore del femminismo nel quale convivono spesso
rivendicazioni più o meno condivisibili. Ogni epoca storica ha le sue lotte e
aspettative e questa volta si marcia sul terreno di una logica schiacciante: la
necessaria complementarietà tra uomo e donna.
Un
terreno difficile da arare ma che darebbe frutti in abbondanza, anche alla
stessa Chiesa che ha sempre lasciato la donna fuori dalle stanze dove si
prendono le decisioni.
Non
si tratta di attuare una rivoluzione contro la tradizione, in altri termini le
voci del buon senso non pensano e non vogliono strappare vesti e poltrone agli
uomini, attuando un ribaltamento di potere tra i sessi né, tantomeno, indossare
qualche berretta color porpora.
Proprio
per questo, appaiono spesso una forzatura i suggerimenti per aggirare le norme
canoniche e il serio rischio è che, spostando il dibattito su un terreno così
ostico, si finisca solo per perderci nei meandri di inutili o prematuri
labirinti, ma soprattutto per perdere di vista la strada maestra, ovvero quella
del riconoscimento della donna, in gonna e non in veste talare, con tutte le
sue peculiarità femminili.
L'obiettivo
realistico dovrebbe essere quello di fare aprire alle donne le porte della
Chiesa per portare il proprio contributo in termini non solo di competenze ma
soprattutto di sensibilità, intuito, passione e dedizione, nella piena
collaborazione e integrazione con la componente maschile.
Niente
rivoluzioni, dunque, e niente novità sconvolgenti, solo un passo in avanti
verso il riconoscimento di quel "genio femminile" di cui parlava
Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne del 1995 e alle quali sta rivolgendo
il suo sguardo carico di stima e di tenerezza papa Francesco.
Leggere
o interpretare nelle parole e negli atteggiamenti di Francesco chissà quale progetto,
non favorisce il raggiungimento degli obiettivi più realistici né aiuta la
stessa Chiesa a compiere un passo rilevante nella sua lunga storia.
Non
c'è bisogno di richiedere chissà quali riconoscimenti, la donna non necessita
di nuove vesti bensì che vengano riconosciute le sue tante potenzialità, il suo
spirito di dedizione, quello "sguardo semplice e profondo dell'amore"
che potrebbe donare contributi determinanti alla lettura e alla presenza della
Chiesa nel mondo.
E
proprio a quello sguardo incondizionato di amore ha fatto riferimento papa
Francesco nella catechesi della sua seconda udienza generale, il 3 aprile,
sottolineando proprio come gli Apostoli e i discepoli faticassero a credere
alla resurrezione di Cristo, a differenza delle donne, prime testimoni capaci
di leggere questo evento con lo sguardo della passione.
Una
svolta, dunque, potrebbe essere dietro l'angolo: papa Bergoglio è uomo attento
e sensibile, certamente lontano dalle logiche maschiliste, capace di leggere
negli occhi delle donne la stessa passione che anima il suo mandato apostolico.
E proprio per questo sa bene che l'apporto della sensibilità femminile, in
tutte le sue componenti e competenze, può ammantare ulteriormente la Chiesa di
un maggiore spirito materno e di amore.
Articolo pubblicato da La Perfetta Letizia
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