giovedì 2 giugno 2016

Rimettiamo a fuoco la professione giornalistica

Ogni giorno mi chiedo da che specie di informazione siamo sommersi.

Vi ritrovo ben poco di quanto mi ha fatto innamorare di questa professione e di quanto mi è stato insegnato sul campo e, non a caso, ripeto “sul campo”, evidentemente da buoni maestri.

E allora, cosa sta succedendo se il presidente dell’Ordine nazionale, Enzo Iacopino, denuncia con un post su Facebook come anche la morte di Sara Di Pietrantonio sia diventata spettacolo, riflettendo sull’ipotesi di lasciare il giornalismo?


È ovvia la provocazione (e lo sfogo), sapendo quanto è combattivo, ma ciò nonostante anche questo fa pensare.
La questione va ben oltre l’ambito giornalistico, riflettendo seri problemi a livello sociale e morale. Ma proprio in un simile disastrato contesto, la categoria dei giornalisti dovrebbe dare il proprio concreto contributo a risollevare sorti e speranze del Paese.

Come? Ripartendo innanzitutto da noi stessi, nella consapevolezza che giornalista si è e non si fa. Sino a quando non intenderemo la professione con uno spirito di servizio alla verità ma come un trampolino per acquisire privilegi e visibilità, niente potrà cambiare. Sino a quando l’informazione che incide, perché si esprime da pulpiti privilegiati, sarà in mano a raccomandati e non a giovani che hanno doti e sensibilità, tutto rimarrà nell’attuale stagno maleodorante.

Solo riconquistando una serietà personale e professionale, accompagnata da adeguati provvedimenti dell’Ordine nei confronti di chi esercita abusivamente la professione, solo allora potremo rivedere un po’ di luce.
Ma sappiamo anche dei problemi che deve fronteggiare ogni giorno lo stesso Ordine e degli sciagurati disegni di smantellamento chiaramente espressi dal premier Matteo Renzi.
Niente da stupirsi: nella società liquida, invece di potenziare e creare punti di riferimento sicuri, si lavora a rendere tutto più “libero” e confuso. E, sinceramente, fatico a chiamarla modernità.

Inutile dire che sembra una battaglia ad armi impari, laddove regnano superficialità, corsa allo scoop, sensazionalismo che, non a caso, fanno audience a piene mani.
Ma neanche sarebbe corretto gettare fango e responsabilità soltanto sui giornalisti: una bella fetta di responsabilità spetta agli utenti. Spetta a coloro che possono scegliere il tipo di informazione, che possono rifiutare quella spazzatura, che possono decidere di mettersi dalla “parte giusta”.

Finché si andrà alla ricerca di notizie pruriginose, premiando chi scava nella vita delle persone, finché si plauderà o, comunque, non ci si indignerà dinanzi a una informazione che propende per la spettacolarizzazione, finché non si pretenderà la ricerca seria della verità, lasciando da parte i particolari secondari, ma ci si aggrapperà ai tasselli dei fatti non per conoscere ma per sputare sentenze, allora non potremo che essere tutti responsabili di un Paese che precipita – pseudo notizia dopo pseudo notizia – nel baratro della disinformazione e dello smarrimento di ogni valore, professionale e morale.

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