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Ripensare
oggi al pontificato di Giovanni Paolo II significa guardare lontano e non solo in
senso temporale. Era il 16 ottobre del 1978 quando fu eletto e da quel giorno
cominciò una rivoluzione improntata alla fermezza dei valori e alla dolcezza
dei sentimenti: via i regimi totalitari contro i quali Karol Wojtyla frappose
tutta la sua energia morale e porte aperte, anzi spalancate, a Cristo e quindi
a ogni uomo.
Un
papa che si è voluto spesso ritrarre con connotazioni politiche ma che, in
realtà, ha sempre portato avanti i valori di una Chiesa chiamata - piuttosto -
di epoca in epoca a fronteggiare le emergenze del momento storico che sta
vivendo.
Di
sicuro Giovanni Paolo II è il papa che ha aperto le porte del Vaticano agli
sguardi del mondo, non per saziare una curiosità lunga secoli ma per dimostrare
la normalità e persino la fragilità di un papa.
Il
tempo rappresenta un irrinunciabile ausilio per guardare con la dovuta
prospettiva a eventi e personaggi che, con la loro statura, si sono levati su decenni
di storia.
Uno
dei bilanci decisamente in attivo, con rendite riscontrabili nell'oggi, è
quello relativo alla sua spiccata dote di comunicare e, quindi, di far arrivare
in modo efficace i messaggi evangelici.
Giovanni
Paolo II è un papa della contemporaneità che ha parlato diffusamente del
concetto di santità, incarnandone quei presupposti che hanno spinto i fedeli a
chiederne la canonizzazione, il giorno stesso del funerale.
Quei
ripetuti inviti a "diventare santi" oggi, nella quotidianità e nella
modernità, hanno traghettato il senso comune dalle vecchie e ingiallite immagini
dei santini, spesso in bianco e nero, a uomini e donne "a colori",
capaci di declinare quei valori nelle sfide di ogni giorno, come ha ricordato
in decine e decine di messaggi, come in quello per la Giornata mondiale della
gioventù del 1998: "Diventare santi
sembra un traguardo arduo, riservato a persone del tutto eccezionali, o adatto
a chi voglia rimanere estraneo alla vita e alla cultura della propria epoca.
Diventare santi invece è dono e compito radicato nel battesimo e nella
confermazione, affidato a tutti nella Chiesa, in ogni tempo. È
dono e compito dei laici come dei religiosi e dei sacri ministri, nella sfera
privata come nell'impegno pubblico, nella vita dei singoli come delle famiglie
e delle comunità".
Papa
Wojtyla è passato in brevissimo tempo da nostro contemporaneo a santo,
permettendo a ognuno di aver incontrato - fisicamente o virtualmente - il suo
sguardo e le sue parole.
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Una
comunicazione che è comunione, sospesa tra gioie e problemi della quotidianità
e tra i grandi dubbi e speranze della fede. Un dialogo ininterrotto che ho
raccontato, nelle sue varie sfaccettature, nel libro "Caro Signor Papa - Cosa scrivono i fedeli a Giovanni Paolo II"
(Edizioni Messaggero Padova, 2010).
Un
"seme di immortalità" - come ebbe a definirlo il cardinale Joseph
Ratzinger durante le esequie dell'8 aprile - che costituisce una presenza e una
testimonianza nei momenti di buio, portando quella luce che serve a illuminare
i nostri traballanti passi su quei percorsi praticabili non solo per i
"geni" della santità ma adatti a ciascuno.
Articolo pubblicato da LPL News 24
Articolo pubblicato da LPL News 24
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